di Laura Tussi. Giornalista, analista del pensiero delle differenze.
"L'educazione liberatrice da sola non produce il cambiamento sociale. Ma non potrà esserci cambiamento sociale senza un'educazione liberatrice" (Paulo Freire).
Sentirci provocati dal gruppo di educande e educandi con cui lavoriamo è il primo abito mentale democratico che possiamo assumere per generare condizioni e disposizioni di apprendimento, per creare la possibilità per la produzione e costruzione della conoscenza: essere consapevoli che non sappiamo necessariamente tutto sui contenuti da trattare.
Sapere che il gruppo ha le sue conoscenze, i suoi punti interrogativi, le sue esigenze, ma anche sapere che possiamo affrontare la sfida perché ci siamo preparati nel miglior modo possibile. Sapere che abbiamo criteri, strumenti e metodi di lavoro per affrontare l’argomento con creatività e spirito critico. In sintesi ci poniamo con un atteggiamento dialogico, plurale, complesso di educatori-allievi.
Quindi possiamo provocare il gruppo: con domande, proposte metodologiche, materiali di supporto per includere più elementi di informazione e nuove prospettive; discutendo le affermazioni e negazioni; generando un dibattito attorno alle percezioni; apportando nuovi contenuti grazie alla nostra padronanza dell’argomento; contribuendo a sintetizzare idee; portando avanti un processo di riflessione progressivamente più complesso e profondo.
È necessario incoraggiare la capacità critica, la ricerca, l’investigazione e la costruzione di apprendimenti individuali e collettivi, plurali e complessi, di cui anche noi beneficiamo. Così ogni provocazione che proponiamo genererà una nuova risposta che diventerà di nuovo una nuova sfida per noi educatori e educatrici, provocatori e provocatrici.
Freire fa continuamente riferimento a questa relazione non-dicotomica, non-dualistica, tra educatore e educatrice e educanda e educando, che si spinge oltre la visione di orizzontalità e dialogo che deve esistere tra loro. Freire si spinge oltre le apparenze, prospettando un’unità dialettica tra l’insegnante e lo studente, sintetizzandolo nel seguente modo: “chi insegna impara nell’insegnare e chi impara, insegna nell’apprendere”. E va anche oltre. Mette in relazione i ruoli dei soggetti attivi in questo processo. Assumere quest’ottica come sfida, alla ricerca di una coerenza etica e politica e pedagogica è fare del nostro meglio per costruirci come esseri umani che si pongono un paradigma altro nella costruzione del sapere, opposto rispetto al paradigma dominante, autoritario, verticale, assoluto teso alla riproduzione asettica della conoscenza.
La presa di posizione pedagogica che si esprime in questa prospettiva della provocazione reciproca si ispira a una profonda convinzione etica e politica che riprendiamo di nuovo da Freire: "In quanto umani siamo esseri storici e la storia non è determinata, ma è piuttosto un tempo di possibilità in cui noi possiamo diventare soggetti trasformatori, costruttori del futuro che vogliamo e non soltanto oggetti della storia che altri hanno deciso". Pertanto la coerenza che cerchiamo di mettere in pratica come provocatori e provocati nel dare impulso a processi che generano condizioni e disposizioni di apprendimento, richiede una rigorosità metodologica che in nessun caso potrà tradursi in una ricetta, uno schema, un modello o un complesso di tecniche da applicare, ma è piuttosto una forma di espressione, di rigorosità etica e di comportamento, di esempio e paradigma.
Scegliere un’educazione liberatrice è una scelta per un cambiamento sociale di cui questa stessa nuova educazione fa parte: una scelta che significa anche credere, aspettarsi che i valori etici si possono concretizzare nella Storia, e che noi educatori e educatrici abbiamo una responsabilità nel loro conseguimento.
scritto da Laura Tussi, pubblicato in Unimondo del 11 gennaio 2021
segnalato da Alessandro Bruni