di Cristina Giudici alla ricerca di nuove radici.
Gli italiani non sono più razzisti o xenofobi? Risposta provvisoria: sì, no, forse, perché si continua a ragionare con la pancia. Il nuovo rapporto Ismu si focalizza sulla diminuzione degli stranieri, sia regolari che irregolari. E stima che al 1° gennaio 2020, gli stranieri presenti in Italia erano 5.923.000 su una popolazione di 59.641.488 residenti (poco meno di uno straniero ogni 10 abitanti). Rispetto al 2019, il numero di stranieri presenti è sostanzialmente invariato con un calo pari a -0,7%.
Ma con la pandemia, la percezione dell’immigrazione si è modificata e ora ci sono diverse tendenze da decifrare. Questo è quanto emerge di significativo, a mio parere, dal ventiseiesimo rapporto della Fondazione Ismu sulle migrazioni 2020, presentato martedì scorso.
Il capitolo che più mi preme segnalarvi è il seguente: “Media, politica e immigrazione. Un rapporto difficile”, curato da Paola Barretta, Nicola Pasini e Giovanni Giulio Valtolina. Gli autori hanno sottolineato come la pandemia abbia contribuito a diminuire la percezione allarmistica: «Attraverso dei sondaggi condotti da Demos & Pi (2020) per l’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza, svolti nel corso della prima parte del 2020, in sei Paesi europei (oltre 6.000 interviste), possiamo rilevare come l’immigrazione fosse già divenuta meno preoccupante se si fa riferimento alla prima serie di interviste, condotte a gennaio, alla vigilia dell’emergenza che ha travolto prima l’Italia poi l’Europa», hanno scritto nell’ultima parte del rapporto dedicato agli approfondimenti. «In quel momento l’immigrazione era considerata come il problema principale – e quindi più preoccupante – solo dal 9% degli intervistati italiani, mentre le paure dei cittadini si concentravano soprattutto sui temi legati all’economia e al lavoro. Se poi si confronta il livello di apprensione per l’immigrazione in Italia con quello degli altri cinque Paesi europei oggetto dell’indagine, si rileva come gli italiani fossero tra i meno preoccupati. L’Italia è quello nel quale (l’immigrazione, ndr) suscitava meno inquietudine, anche rispetto alla Germania».
Come mai? Apparentemente per due ragioni. I sondaggi sono stati realizzati nei primi sei mesi del 2020, quando i media e la politica erano meno focalizzati sul tema migratorio, e inoltre la mobilitazione per l’omicidio dell’afroamericano George Floyd sembra aver scosso l’opinione pubblica, dimostrando ancora una volta quanto le percezioni sul tema della diversity si basino su reazioni emotive.
Quasi i due terzi dei cittadini italiani hanno dichiarato che sarebbero stati disposti a impegnarsi contro il razzismo. Il fattore anagrafico ha avuto un ruolo importante in questo improvviso impulso antirazzista. Stando ai dati Ismu, il problema è considerato serio dall’80% dei giovani con meno di 30 anni, mentre per tutti gli altri lo è solo per poco più del 50%.
Gli italiani non sono più razzisti o xenofobi? Risposta provvisoria: sì, no, forse, perché si continua a ragionare con la pancia. Dal rapporto risulta una rilevante schizofrenia nelle percezioni. «Sempre secondo un’indagine Eurispes, si potrebbe affermare che le persone che si dichiarano apertamente negative nei confronti degli immigrati sono ancora una minoranza, ma sono le tendenze a fare la differenza», si legge. «Quattro italiani su dieci (40,3%) definiscono il proprio rapporto con gli immigrati “normale”, il 19,4% parla di reciproca indifferenza, il 14,4% di reciproca disponibilità, mentre un decimo trova gli immigrati ostili (10,1%). Solo l’8,1% li trova insopportabili e il 7,7% afferma di temerli.
Altre percentuali emerse dall’indagine parlano invece dell’atteggiamento che si ha, o che ci si sente legittimati ad avere, nei confronti degli stranieri. Secondo il 45,7% degli italiani, un atteggiamento di diffidenza nei confronti degli immigrati è “giustificabile, ma solo in alcuni casi”. Per quasi un quarto (23,8%) guardare con diffidenza gli immigrati è “pericoloso”, per il 17,1% (+6,7% rispetto al 2010) è “condivisibile”, per il 13,4% è “riprovevole” (-4,3% rispetto al 2010). E quando i confronti cominciano a toccare questioni come “lavoro” e “identità”, le differenze rispetto al passato si fanno più nette».
L’analisi della Fondazione Ismu evidenzia anche la convinzione che gli stranieri tolgano lavoro agli italiani: rispetto a dieci anni fa è cresciuta di più di 10 punti, passando dal 24,8% al 35,2%, mentre la percentuale di chi vede negli immigrati una minaccia all’identità culturale e nazionale è aumentata dal 29,9% al 33% e quella di chi teme un aumento delle malattie è passata dal 35,6% al 38,3%. Rispetto al 2010, crolla di 17 punti la posizione di chi ritiene che gli stranieri portino un arricchimento culturale: dal 59,1% al 42%. Diminuisce analogamente la convinzione che gli immigrati contribuiscano alla crescita economica del Paese: dal 60,4% al 46,9%.
Sempre di più i sostenitori dello ius sanguinis, triplicati, mentre si riducono i sostenitori dello ius culturae. Dal 2010, sono diminuiti di oltre dieci punti gli italiani favorevoli allo ius soli (dal 60,3% al 50%) e sono invece aumentati in modo consistente i sostenitori più rigidi dello ius sanguinis (dal 10,7% al 33,5%). Una contraddizione incomprensibile.
Gli italiani non sono più razzisti o xenofobi? Conclusione provvisoria: Sì, no, forse, perché si continua a ragionare con la pancia.
scritto da Cristina Giudici, pubblicato in Nuove radici del 25 febbraio 2021,
segnalato da Alessandro Bruni