di Daniele Lugli. La nonviolenza ieri e oggi.
Tutti a parlare di Recovery Plan: tanti soldi per il recupero, la ripresa, il risanamento, la ricostituzione (a seconda della traduzione di recovery che preferiamo), ma il vero nome è un altro. Lo ricorda Salvatore Biasco in una bella intervista su Una Città: Piano per la Nuova Generazione, Next Generation Plan.
Salvatore Biasco l’ho conosciuto 50 anni fa – la nuova generazione eravamo noi – a un seminario ad Agape, Prali. C’erano tutti i gruppi della nuova sinistra. Io assessore e psiuppino ero un moderato, uomo delle istituzioni. Tra i generosi propositi e spropositi di quell’incontro mi è restato nella memoria la sua autopresentazione e il suo intervento.
Militava (allora tutti militavamo) in un gruppo del quale non ho più memoria. Iniziava allora il suo insegnamento universitario. Ci ha detto dei suoi studi in economia, perfezionati a Cambridge: “N’ so si se sente dall’accento…”.
I suoi interventi erano chiari, orientati a una profonda e radicale riforma della società, come profonda, sul piano religioso, era quella della comunità valdese che ci ospitava. Ogni tanto avevo qualche notizia di lui, del suo percorso di ricerca e di impegno. L’ho rivisto, ottobre 2019, a Forlì a un seminario meno ruspante di quello della montagna, e ancora mi è piaciuto ascoltarlo.
Di Piano per la Nuova Generazione parla dunque Biasco. La pandemia ripropone il ruolo dello Stato, protagonista dell’organizzazione della società e della produzione. Sono tanti i punti toccati, dal rinnovo della macchina amministrativa, alla partecipazione dei cittadini. Un’attenzione particolare è riservata ai giovani (il piano è per loro), alla scuola, all’habitat, alle modifiche di un sistema economico capace di sviluppo, contro le diseguaglianze e nella tutela dell’ambiente. Un’osservazione mi permetto: senza una dimensione europea, che solo una vera Federazione può garantire, gli sforzi degli stati nazionali sono destinati a fallire.
Alla sanità di territorio Biasco dedica passaggi interessanti. In primo piano è la prevenzione e la cura delle “malattie nelle singole case” e in “centri medici, che coordinino tutti gli operatori della sanità di base e possano fruire delle telemedicine… Abbiamo istituito l’infermiere di comunità (o di famiglia), bene, ma è una figura professionale che va formata con specifici investimenti, perché non si tratta della figura professionale tradizionale, ma di una specializzazione sui generis, con doti relazionali, informatiche e di scouting delle necessità mediche. La medicina democratica è uno dei grandi temi che possono informare una società. È un tema che unisce protezione e eguaglianza. Pensiamo a quanto sia stato diseguale ammalarsi di altre malattie in epoca Covid…”.
Certo, la Medicina democratica! Biasco non può non pensare a Giulio Alfredo Maccacaro, scienziato e medico, promotore e animatore dell’associazione che ancora opera. L’impegno di Maccacaro per una società più giusta – nella lotta partigiana, nella ricerca e nella pratica medica – è stato continuo fino alla morte precoce a poco più di cinquanta anni. Il rapporto della salute con la prevenzione, l’ambiente di vita e di lavoro, il potere, la partecipazione hanno conosciuto momenti di sperimentazione felici. La sanità, complessivamente, si è poi distanziata da quell’orientamento, che pure è alla base del Servizio sanitario e ne costituisce la parte che ancora regge.
A Ferrara c’è un Centro intitolato a Maccacaro. Non è un centro di medicina del lavoro, come potremmo aspettarci, ma il solo o quasi solo sopravvissuto dei Centri di Salute mentale. Erano diffusi sul nostro territorio quando, prima della “legge Basaglia”, anche a Ferrara si svuotava l’ospedale psichiatrico. La cura delle persone con disturbo psichico e difficoltà di inserimento sociale e la condizione delle loro famiglie non può non risentirne.
Praticamente coeva a Medicina democratica, primi anni ’70, è Psichiatria democratica, per la liberazione del malato dalla segregazione manicomiale. Per la salute del corpo e della mente occorre l’azione comune di tutti gli operatori, la partecipazione dei pazienti e delle famiglie, l’attenzione e il supporto dell’intera comunità. Le iniziative delle due associazioni, quando non erano comuni, parlavano la stessa lingua. Già anni prima si era costituita Magistratura democratica, promessa di una giustizia costruttrice di una società più consapevole e libera.
Piano per la Nuova Generazione si è detto, e dunque non voglio certo concludere che mezzo secolo fa le cose andassero meglio. Non è vero. Prese di coscienza e di responsabilità collettiva, da parte di una minoranza di operatori della salute fisica e mentale e da magistrati, hanno dato un contributo decisivo a mutamenti importanti. Possono essere di ispirazione e conforto in primo luogo per i giovani che avvertono la necessità di cambiamento e sono disposti a impegnarsi.
Giovani medici e infermieri di famiglia e comunità, medici igienisti e antropologi così, ce ne sono. Ne ho conosciuti attraverso Agostino Panajia, giovane medico, da tempo amico della nonviolenza e mio. Hanno predisposto un Manifesto per il Libro azzurro. Contiene le loro proposte in campo sanitario, già tradotte in concrete, se pure limitate, esperienze.
In uno degli ultimi incontri promossi a Ferrara dal Movimento Nonviolento – in presenza e in sicurezza, già l’epidemia era tra noi – ne ho sentito l’illustrazione. Ampio è l’accordo “sulla necessità di superare la frammentazione in ambito sanitario, in particolare la frammentazione tra medici di famiglia e medici specialisti”, ma in questa direzione di fatto non si procede. Il lavoro consiste nella tessitura di “reti assistenziali interdisciplinari, interprofessionali e intersettoriali, che abbiano come obiettivo la tutela della Salute della comunità e non l’erogazione di singole prestazioni”.
Servono “team assistenziali allargati, capaci di superare la frammentazione dei processi di cura, sia tra i diversi attori presenti nel territorio, che tra i diversi livelli dell’assistenza, primaria e specialistica”. Emerge “una proposta non incentrata sulla semplice erogazione dei servizi, ma sulla costruzione di relazioni professionali e umane” nello stretto rapporto “tra le diverse discipline, professioni e settori… senza tralasciare l’educazione e il coinvolgimento attivo della popolazione”.
I “centri medici” ai quali fa cenno Biasco sono individuati dal Libro Azzurro nelle Case della salute, “luogo dell’integrazione tra settori, servizi e comunità… e di formazione permanente basata sulle prassi, per implementare e ritagliare gli interventi in base ai bisogni effettivamente presenti in un territorio”.
Gli interessati ad approfondire gli argomenti da me solo accennati troveranno anche online molto materiale utile, ad esempio ascoltando la conferenza stampa di presentazione del Manifesto del Libro azzurro.
scritto da Daniele Lugli, pubblicato anche in Azione nonviolenta del 22 febbraio 2021