di Alessandro Bruni.
Dopo lungo pensare ho deciso di aprire una categoria specifica di post del blog dal titolo “Demenze e società”. Apparentemente è ambito strettamente medico-scientifico in cui l'aspetto divulgativo stenta ad affermarsi a causa dello stigma sociale che queste malattie generano e a causa delle scarse conoscenze scientifiche traducibili sul piano della prevenzione e della cura. Eppure le demenze sono parte rilevante del processo di invecchiamento umano nelle società evolute e sono un peso sociale ed economico non indifferente. Già il parlarne tra amici e conoscenti è difficile finendo col prevalere la commiserazione e il distanziamento sociale a segnare una patologia che ha alto valore "pandemico" e probabilistico per la quale non c'è illusione di farmaco e di “vaccino” che ne permetta la risoluzione.
Trovo che la conoscenza globale di questo problema dell'invecchiamento sia un prendere coscienza non solo della fragile terminalità individuale, ma della fragilità della vita dei familiari e della società in generale. Del covid-19 si parla e ci si accapiglia sul contagio, sul numero di letti di terapia intensiva, sul costo socio-economico della pandemia. Anche il coronavirus si accanisce sugli anziani e molti si chiedono pure se sia il caso di spendere tanto denaro e condizionamenti sociali per una manciata di vecchi ormai socialmente inutili. Applicare lo stesso ragionamento ai pazienti dementi è passo breve e maltusiano.
Per i malati di demenza e sui loro familiari non c'è dibattito e nemmeno senso di colpa, ma solo impotenza individuale, rassegnazione, esclusione. Il malato di demenza è considerato come un morto che cammina e i suoi familiari i depositari di un destino come quello conseguente ad un incidente stradale dove si cerca il colpevole e non il sistema dei trasporti. Nella demenza manca il colpevole: non lo è il malato e non lo è la famiglia, ma non lo è nemmeno la società e lo stile di vita sociale alla quale non possiamo rinunciare (eppure ...). Non abbiamo un virus colpevole e non abbiamo intenzione di accollarci le colpe di un eventuale stile di vita predisponente. Ci manca l'untore reo della patologia e ci manca il farmaco che ci possa illudere della soluzione.
Trovo che il ragionare sulle demenze degli anziani sia di fatto una chiave per aprire la nostra mente, il nostro comportamento ad una prossimità affatto spirituale e molto concreto. Con questi ritmi di crescita delle demenze finiremo inevitabilmente o col doverci convivere o col dover ghettizzare i malati con una spesa pubblica e privata non indifferente, per non contare il costo sociale ed affettivo. Meglio dunque cominciare a parlarne, conoscerne la natura, trovare il modo di convivere e comprendere la condizione del malato e dei suoi cari come soggetti sociali di prossimità. Infine cominciare a guardare al nostro stile di vita individuale e sociale come ad un possibile responsabile di una realtà che non potremo escludere e abbandonare in qualche RSA, pur condotto nel migliore dei modi.
Il ministero della Sanità italiano, come peraltro quelli di altri Stati, affronta il tema della demenza in funzione esplicitamente riabilitativa, con preminente attenzione agli aspetti terapeutici farmacologici e non farmacologici. L'attività di ricerca è rivolta ad aspetti con un’immediata ricaduta clinica, ma a questo mandato istituzionale si aggiunge quello morale e sociale. Il malato di demenza versa invariabilmente in una condizione di fragilità non solo cognitiva, ma anche fisica, familiare, sociale e, spesso, economica. Gli interventi devono essere quindi diretti a tutta la persona malata, non ad aspetti parcellari della malattia. La centralità della Persona nella malattia è il cardine su cui deve essere fondato e costruita l’attività clinica, scientifica e sociale spaziando dagli aspetti genetici e neurobiologici a quelli più squisitamente clinici, a quelli psicologici, a quelli del caregiving.
In passato, pochi medici si dedicavano alla cura dei malati di demenza (venivano semplicemente rinchiusi in manicomio) e ancor meno si dedicavano alla ricerca bastando loro il contenimento sociale. Con l’aumento della sensibilità sociale e dei finanziamenti pubblici, numerosi centri neurologici e geriatrici hanno iniziato a occuparsi di demenza. Tuttavia, crediamo che l’approccio globale al malato come persona, per cui la malattia non è comprensibile unicamente sulla base della risonanza magnetica del cervello, o di esami neurobiologici, o della prestazione ai test neuropsicologici, o di altre indagini più o meno sofisticate, bensì dall’integrazione di tutte queste informazioni da parte di un occhio sensibile, colto e attento di medici, caregivers, familiari e dell'intera società. Un tentativo fuori dal coro, lasciando che un sassolino nella scarpa ci ricordi la fatica del vivere altrui.
Per iniziare questo cammino, segnalo alcuni film nei quali l'impegno a capire le demenze non è svolto in modo banale e compassionevole, ma semplicemente umano. Si tratta di film che affrontano la delicata tematica con uno sguardo ora romantico, ora drammatico, ora addirittura ironico. Non vogliono essere trattati precisi sulla patologia, ma racconti visivi che ne raccontano gli effetti a partire da storie ora quotidiane, ora incredibili, ora vere, per quanto romanzate.
Away From Her – Lontano da lei. La nostalgia per un tempo che non si ricorda è una sensazione difficile da esprimere. Eppure è questo che cerca di raccontare il delicato film di Sarah Polley con protagonisti Julie Christie e Gordon Pinsent. I due interpretano i coniugi Grant, una coppia sposata da moltissimi anni, e che per molto tempo è andata avanti con i propri ritmi, le proprie abitudini, il proprio linguaggio privato. Gli equilibri tra i due si sfaldano quando lei viene colpita dal morbo di Alzheimer. Il dolore della situazione ci viene però raccontato dagli sguardi di lui, tra accettazione e tristezza. Il film è tratto da un racconto della scrittrice Premio Nobel Alice Munro, intitolato The Bear Came Over the Mountain.
Still Alice. Julianne Moore ha vinto il premio Oscar per la sua profonda interpretazione in questo dramma tratto dal romanzo Perdersi di Lisa Genova. Si parla di una donna, Alice appunto, che potrebbe definire la sua vita come di successo: donna in carriera, moglie amata, madre di tre figli. Anche in questo caso la diagnosi dell’Alzheimer si presenta come un segno di rottura con la vita vissuta fino a quel momento, una scoperta che mette in discussione ogni certezza precedente. Oltre alla giovane età della protagonista colpita dalla malattia, ciò che prevale nel racconto è il senso di lenta perdita di sé. Un film che potremmo definire come “necessario” e che ha creato consapevolezza intorno alla malattia attraverso un canale diverso dai soliti.
Una sconfinata giovinezza. Anche il cinema italiano in questa lista, con un film diretto da Pupi Avati e uscito nel 2010, per certi versi molto simile al primo film che abbiamo indicato. Anche in questo caso una coppia, seppure più giovane, in cui è lui a soffrire il morbo di Alzheimer. Già il malinconico titolo ci indica il viaggio a ritroso di una mente che fatica a tenere saldi tutti i ricordi. Il tema del tempo, il rapporto tra passato e presente, naturalmente l’amore e i rapporti umani, sono alla base di questo film.
Le pagine della nostra vita. Si intitola The Notebook (il diario) in originale questo romantico film del 2005. E un diario è quello che un uomo anziano legge quotidianamente alla moglie, affetta da demenza senile. La storia ci porta molto indietro nel tempo, fino agli anni ’40, con il racconto di un giovane amore. Tra mille difficoltà, una ragazza appartenente a una famiglia ricca e un ragazzo di umili origini, imparano a volersi bene e lottano per rimanere insieme. Attraverso questo racconto, qualcosa di eccezionale potrà realizzarsi nel presente.
Iris – Un amore vero. Ancora una storia d’amore, stavolta tratta da una vicenda accaduta realmente. Si parla infatti della relazione tra la scrittrice Iris Murdoch e il marito Bayley. Un racconto lungo una vita, in cui la relazione tra i due dovrà fare un passo in avanti nel momento in cui lei viene colpita da demenza senile. Ancora una volta torna il rapporto tra passato e presente, il sentimento e l’amore come collante di una vita che ci si rifiuta di lasciar andare. Tra i protagonisti spiccano due attrici eccezionali come Kate Winslet e Judi Dench.
scritto da Alessandro Bruni