di Andrea Gavosto e Barbara Romano.
Per compensare la perdita di apprendimenti dovuta alla pandemia e all’apertura a singhiozzo delle scuole serve un’offerta articolata di azioni di recupero. Dovranno coinvolgere tutti gli studenti, non solo quelli con debiti, come avviene in tempi normali.
Una delle prime questioni che il governo Draghi dovrà affrontare in materia d’istruzione è la perdita di apprendimenti, conseguente alla pandemia e all’apertura a singhiozzo delle scuole. Non è facile decidere strategia e misure di contrasto, anche perché non conosciamo l’entità di ciò che gli studenti hanno perso.
La rinuncia a svolgere le prove Invalsi alla fine dello scorso anno scolastico ha infatti impedito di misurare il livello di competenze raggiunto e di confrontarlo con quello delle coorti precedenti. Se le prove si svolgeranno regolarmente dal prossimo marzo, dovremo comunque aspettarne i risultati – di solito disponibili a luglio – per avere un’idea della dimensione e della distribuzione del fenomeno. Nel frattempo, i ritardi si accumulano e chi resta più indietro rischia, senza interventi a suo favore, di vedere gravemente compromesso il suo futuro accademico e lavorativo.
Ma perché dovrebbe esserci stata una perdita di apprendimenti, se gli studenti hanno potuto seguire le lezioni a distanza? Nei suoi aspetti essenziali, il processo di apprendimento è simile per gli studenti di tutto il mondo: la chiusura delle scuole e il passaggio alla didattica a distanza (Dad) lo hanno messo in crisi in Italia come all’estero. È dunque ragionevole utilizzare ricerche svolte in altri paesi per fare ipotesi su ciò che è successo da noi.
Uno studio dell’università di Oxford su dati olandesi è per il momento la migliore ricostruzione della learning loss seguita a un lockdown relativamente breve (solo 8 settimane, in Italia sono state 14) e con la buona preparazione di quel sistema scolastico a una didattica tecnologicamente evoluta. Utilizzando i risultati degli esami nazionali prima e dopo il lockdown e confrontando i progressi conseguiti con quelli nei tre anni precedenti, la perdita di apprendimenti rilevata nei Paesi Bassi è equivalente a circa un quinto del progresso cognitivo atteso in un normale anno scolastico. Le perdite salgono al 55 per cento per gli studenti di famiglia meno istruita. A sua volta, il periodo di chiusura è stato circa un quinto dell’anno scolastico. Se i progressi nelle classi olandesi sono stati, dunque, pressoché nulli, si può supporre che nei paesi come il nostro, meno preparati alla Dad, le perdite siano state perfino maggiori.
L’ipotesi di una consistente perdita di conoscenze in Italia trova alimento anche in un’indagine di Indire su più di tremila insegnanti. Pur essendo l’unica alternativa in tempo di pandemia, la Dad viene giudicata inadatta a conservare appieno elementi fondamentali dell’insegnamento, come la qualità della relazione fra pari, della relazione educativa, dell’interazione, della collaborazione e della comunicazione. [...]
scritto da Andrea Gavosto e Barbara Romano, pubblicato in Lavoce.info del 23 febbraio 2021
segnalato da Alessandro Bruni
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