di Luigino Bruni, sull'educazione economica e religiosa.
La letteratura è rivelatrice dello spirito di un tempo. Se poi la letteratura è grande, lo spirito che essa rivela trascende il suo tempo e il suo spazio. Quando però la letteratura è immensa, il suo spirito è per sempre e per tutti. Si possono – e si devono – leggere documenti, materiali d’archivio, cronache sull’etica mercantile tra Medioevo e Rinascimento, e si comprende qualcosa. Poi, un giorno, si rileggono la Commedia e il Decameron, e si capisce altro, qualcos’altro che getta luce diversa anche sui documenti e sulle cronache.
Dante è stato immenso per molte cose, non per la comprensione della sua nuova economia: «Egli è completamente sordo al senso dell’economico» (Ernesto Sestan, "Dante e Firenze", 1967, p. 290). Pur vicinissimo al movimento francescano, non seguì la linea di Pietro di Giovanni Olivi e degli altri frati teologi-economisti che osservando i mercanti nelle città furono tra i primi a capire che non tutta la mercatura era incivile, che non tutti i prestiti a interesse erano usurai. Dante resta invece legato ad Aristotele (e forse a Tommaso), e così non entra nel Trecento e nella nuova dimensione economica dell’Umanesimo, dove l’arte della mercatura fu anche incivilimento e virtù cristiana.
scritto da Luigino Bruni, pubblicato nel blog dell'autore e in Avvenire del 6 febbraio 2021
segnalato da Alessandro Bruni