di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
Sembra che il prossimo Governo Draghi imporrà di andare a scuola anche per tutto giugno (e magari, diciamo noi, che fosse in presenza). Sarebbe un ottimo recupero per tanti studenti che hanno sofferto per tanti mesi ai “domiciliari”. I sindacati si sono subito opposti ed è questo un leit motiv della scuola che può solo “chiudere” (per i seggi elettorali e altre amenità), ma mai estendersi, come potrebbe per esempio al pomeriggio con attività integrative e laboratoriali.
Come mai le riforme fanno così fatica nella scuola? Risposta di molti ex ministri (tra cui Luigi Berlinguer): “perché ad occuparsene sono solo chi ci lavora, mentre la scuola è un bene pubblico e tutti hanno il diritto di dare buoni suggerimenti”.
Le ricerche svolte su 131 paesi non indicano se andare a scuola aumenti o meno i contagi (pare più no che si), ma è certo che viaggiare in trasporti pubblici affollati accresce i contagi. Una conferma viene anche da uno studio sui trasporti nelle province dove i lavoratori li usano di più (Bracco, Pertile, Turati su lavoce.info).
Per questo dove abbiamo “mancato” da settembre ad oggi è stato nella carenza di trasporti specie per gli adolescenti 14-19 anni che usano quelli pubblici nel 58% dei casi, mentre alle elementari li usano solo il 10% e alle medie inferiori il 17% (dove si va a scuola soprattutto con mezzi propri o a piedi), anche perché queste scuole sono nel proprio paese o vicino.
Ciò evidenzia come la concentrazione delle scuole avvenuta negli ultimi anni (per ragioni economiche), oggi mostri tutti i suoi limiti e vada a vantaggio di uno sviluppo per poli che accresce la desertificazione dei piccoli Comuni. Salvare una scuola in un piccolo Comune significa anche favorire queste comunità (deboli) e le relazioni sociali e contrastare la logica dominante alla desertificazione di tutto ciò che non è città, anche perché vivere in campagna per i bambini è fonte di grande apprendimento.
I dati mostrano (oltreché l’esperienza di tutti noi) che i trasporti pubblici sono usati soprattutto per gli adolescenti sia nei comuni piccolissimi (perché le scuole superiori sono tutte, o quasi, in città), o nelle metropoli, ma nella maggioranza dei Comuni medi (tra 10mila e 50mila abitanti) gli adolescenti usano i mezzi pubblici solo nel 30% dei casi.
La scelta di trattare tutti gli 11 milioni di studenti allo stesso modo ha così colpito tutti mentre si poteva almeno limitare il danno a metà o forse a un terzo (e favorire una buona volta chi vive in città piccole). Abbiamo l’intelligenza artificiale, i big data ma non servono per il bene pubblico. Uno studio Usa (Nwea) ha dimostrato che la chiusura delle scuole o la dad riducono l’apprendimento degli studenti da 8 a 13 anni del 5-10%. Il danno è stato proporzionalmente maggiore per le fasce deboli e povere. Anche solo non mangiare in mensa è stato un danno enorme (in UK hanno distribuito a molte famiglie povere 15 sterline a settimana se la scuola chiudeva), per non parlare dell’impulso enorme dato indirettamente all’abbandono scolastico.
Questo caos fa capire quanto sia importante da un lato una gestione dello Stato della scuola, ma anche quanto siano dannose misure generalizzate per tutto il paese che non differenzino tra grandi città (Roma, Milano,…) e altrove. E dire che siamo il paese delle cento città e dei mille campanili.
scritto da Andrea Gandini