di Marco Cattaneo. Giornalista e editorialista di Le Scienze e Mind.
Ebbene sì. Solo questa notte mi sono svegliato una mezza dozzina di volte. I pensieri per il lavoro, la pressione dei progetti per i prossimi mesi, la pandemia che non accenna a dare tregua, persino il caos che infiamma l’America.
E almeno quest’ultimo, a ben vedere, non dovrebbe riguardarmi più di tanto. Ma vuoi l’incertezza di questo anno trascorso nell’isolamento, vuoi le preoccupazioni per il futuro, vuoi i piccoli intralci quotidiani, a volte l’ansia prende il sopravvento.
Non posso dire però, per mia fortuna, di aver mai sofferto di un vero e proprio attacco di panico, con i tremori, le palpitazioni, l’affanno insostenibile che fanno scorrere lenti i minuti, sopraffatti dall’angoscia. Un fenomeno che può colpire nei momenti più inattesi, come racconta Viola Rita a p. 24, e che ha colpito quasi 10 milioni di italiani almeno una volta nella vita. E che sembra essersi intensificato con la pandemia, che sta mettendo a dura prova l’equilibrio di tutti noi, aumentando i livelli di stress a cui siamo sottoposti.
Anche se negli anni è aumentata la consapevolezza del disagio provocato da questi disturbi, il problema è ancora gravemente sottovalutato, tanto che spesso non è semplice avere una diagnosi, e il ritardo contribuisce ad aggravare il malessere delle persone che ne sono colpite. Da una parte manca una piena presa di coscienza anche da parte di medici non specialisti in materia. Dall’altra, forse abusiamo anche del termine "panico" nel linguaggio quotidiano, al punto che il disturbo da panico finisce per essere erroneamente assimilato a eventi molto meno severi, quando non irrilevanti. E poi c’è l’eterna, impalpabile presenza dello stigma sociale che ancora avvolge la malattia mentale, un vincolo che frena la nostra capacità di riconoscere i sintomi di un disagio e al tempo stesso, anche quando li percepiamo, ci trattiene dal rivolgerci a uno specialista per chiedere aiuto. Quasi che delle nostre difficoltà provassimo vergogna.
La vergogna, di cui ci parla Annette Kämmerer a p. 68, è un’emozione che tendiamo a provare quando violiamo una norma sociale. E dunque perdere il controllo dell’ansia, essere travolti dal panico, ci metterebbe al di fuori del panorama di una presunta normalità, i cui confini in verità sono quanto mai labili, come testimonia il motto scritto sul portale dell’ex ospedale psichiatrico "Paolo Pini" di Milano: da vicino nessuno è normale.
D’altra parte il peso psicologico della pandemia non ha risparmiato neanche i professionisti della salute mentale, come racconta Antonio Piccinni in "Pensieri di uno psicoterapeuta", a p. 64. In uno sfogo appassionato, lo psicologo bolognese racconta il problema di chi deve assistere un paziente in questa stagione inaspettata, in cui il terapeuta soffre le stesse incertezze, gli stessi disagi, gli stessi turbamenti di chi gli chiede un aiuto. E prova un senso di inadeguatezza nel dover dare risposte a domande per le quali è egli stesso in cerca di risposta. Una sfida che ha affrontato, in definitiva, con l’accoglienza e la condivisione, anche delle sue stesse paure.
E se per lo psicoterapeuta questa emergenza è stata un’occasione per mutare la prospettiva del suo incontro con il paziente, per tutti noi potrebbe essere un’opportunità per liberarci del timore di confrontarci con il disagio psicologico, per riconoscerlo senza pregiudizi e affrontarlo con meno remore.
Non so se ne usciremo migliori, ma potremmo uscirne più consapevoli, che è già qualcosa.
L'editoriale del n. 194 di Mind, febbraio 2021