Intervista di Laura Tussi. Giornalista e analista del pensiero delle differenze.
Rita Trinchieri racconta la storia di Tiziana Di Ruscio. Rita e Tiziana sono coofondatrici dell’Associazione “Il nastro Rosa” contro la violenza sulle donne e di genere.
Come è nata in te, Rita, l’esigenza di creare un’Associazione contro la violenza di genere?
Fin da bambina la voglia di essere d’aiuto agli altri è stata una spinta forte che ha indirizzato la mia vita. Finalmente da adulta ho potuto concretizzare piccoli gesti quotidiani e azioni, e sentirmi bene nel vedere che il mio operare recava sollievo agli altri. Quegli altri che, seppure sconosciuti al mio vivere, sono sempre stati importanti perché, comunque, da loro ricevevo, a volte, più di quello che riuscivo a dare o fare. E così il mio cercare la concretizzazione dei miei desideri mi ha portato ad essere volontaria in una casa famiglia. Qui ho davvero arricchito la mia persona, ho conosciuto realtà che nemmeno immaginavo potessero esistere. Mi sono immersa nel corso di preparazione che si svolgeva di sera e non perdevo occasione per essere presente nonostante la mia stanchezza per le giornate pesanti che si svolgevano tra il lavoro a Pescara, i figli, i genitori anziani senza trascurare la mia casa grande.
Come hai incontrato Tiziana?
Tra i tanti bambini presenti nella struttura, alcuni molto piccoli, e gli adulti che ruotavano nelle varie attività, ho avuto la fortuna di incontrare Tiziana. Non era usuale la presenza, in struttura, di una mamma. In genere i bambini erano affidati dal tribunale dei minori alle cure delle suore e del personale addetto. Tiziana si trovava lì con due dei suoi tre figli maschi e ci rimase circa due anni durante i quali non ci furono grossi scambi di confidenze tra noi. I volontari rispettano la regola di non fare domande. Quando ci siamo ritrovate, anni dopo la sua uscita definitiva dalla casa famiglia, la sua storia ha inondato il mio cuore. Tiziana ha fondato un’associazione, “Il nastro rosa”, a cui io mi sono subito aggregata volentieri. Ha pubblicato la sua testimonianza perché la sua storia possa essere di aiuto, stimolo e supporto per tante donne che si trovano a subire violenza fisica e psicologica soprattutto tra quelle pareti domestiche che invece dovrebbero proteggerle. Per quelle donne che si sentono ingabbiate nella convinzione che è impossibile cambiare le situazioni.
Prova a raccontare la vicenda di Tiziana.
Tiziana è un esempio per tutte le donne che si può tornare a vivere con serenità, che si può far sperare i figli, che hanno sofferto e vederli tranquilli, che esiste un modo migliore di condurre la propria vita. Lei è nata in un paesino della provincia di Chieti nel 1970 in una famiglia numerosa, terza di quattro figli, di cui erano parte fondamentale anche nonni e zii. Ricorda la sua infanzia come un periodo molto sereno per le giornate passate in allegria insieme ai cuginetti. Poi per il lavoro del padre si trasferiscono a Pineto, sul mare, e anche qui la loro vita scorre serena fino a che dolorosamente vengono a conoscenza della malattia subdola che colpisce il fratellino di un anno più piccolo rispetto a lei che allora aveva 9 anni. Da allora nulla fu più uguale e la tristezza si abbatté su quella bella famiglia. La parola leucemia che tanto faceva piangere i suoi genitori la terrorizzava e la faceva sentire in colpa per non poter donare, per incompatibilità, il midollo osseo a quel fratellino che a 16 anni volò via. La famiglia provò a riprendere a vivere con la presenza costante nei pensieri e nel cuore di quell’innocente che tanto aveva sofferto.
A quando risalgono i fatti di violenza?
A 19 anni Tiziana incontra un ragazzo di due anni più grande. Lei lavorava perché a causa delle condizioni della famiglia non aveva potuto continuare gli studi. Con questo ragazzo non stava male ma, in realtà, non si sentiva felice. E una sera capì da dove nasceva quel suo sentirsi a disagio in sua compagnia. Dopo cena lo accompagnò alla macchina come faceva spesso. Scese le scale del palazzo dei suoi genitori, lui fu rapidissimo a bloccare il cancello d’ingresso e a gettarla a terra. Nonostante le lacrime e le resistenze di Tiziana lui non si fermò e con una mano le tappò la bocca e con l’altra le strappava la biancheria intima. Lei non poteva e non voleva gridare, avrebbero sentito tutti, i suoi occhi sbarrati guardavano il soffitto: non era possibile che stava accadendo tutto questo nel dolore e sofferenza. Lui finì e si rialzò come se nulla fosse accaduto e le disse che se lei non era d’accordo voleva dire che non l’amava come lui amava lei. Si rivestì e chiuse il portone alle spalle.
Era questo l’amore?
Tiziana voleva correre, ma tremava, le gambe non le tenevano e si appoggiò alla balaustra per salire le scale, la testa le girava: rivedeva il suo corpo immobile che sprofondava in un burrone buio, la forma del corpo era delimitata dal sangue che sgorgava dal suo cuore. In bagno cercò di lavare via quell’odore di lui che la nauseava, si sentiva sporca, avrebbe voluto staccare la pelle. Non disse nulla ai suoi che erano molto severi e pensò che non voleva rivederlo più. Ma lui dopo due o tre giorni tornò con un regalo e fu molto gentile. Gli fece notare che aveva usato violenza ma lui cadendo dalle nuvole chiese “Perché? Che ho fatto?” Hanno discusso parecchio ma poi per paura che lo facesse di nuovo, rimase zitta e ferma. Promise che non lo avrebbe più fatto. Ma da allora non stava più bene nel suo corpo, era come un automa. La sua famiglia aspettava il matrimonio e lei era contenta di rivedere il sorriso sui loro volti dopo il lutto che li aveva segnati tutti. Con il matrimonio è diventato tutto più difficile, lei non poteva andare da nessuna parte, non aveva mai un centesimo da spendere perché gestiva tutto lui che le comprava anche i vestiti o altro ma ogni cosa che comprava lei lo avrebbe dovuto ripagare con i rapporti sessuali violenti che lui pretendeva. Poi subito dopo le chiedeva scusa. Nella nuova casa, lontano dai parenti, le violenze erano diventate quotidiane, per nonnulla l’aggrediva fisicamente e verbalmente. Lei lavorava insieme a lui in una piccola impresa familiare. Le piaceva lavorare ma questo significava stare tutto il giorno insieme. Le faceva tante promesse in cambio di rapporti continui. Nacquero tre figli e neanche durante le gravidanze, a rischio, ebbe un minimo di rispetto per i bimbi che portava in grembo, nonostante i divieti dei medici. Quando i bambini furono più grandicelli la sua violenza si spostò anche su di loro, li sbatteva contro i muri e li sollevava per i capelli. Il suo piatto era sempre fornito di cibo ma per lei e i suoi figli tutto scarseggiava. Il figlio più grande quando vedeva il piatto della mamma vuoto divideva con lei il suo cibo. Staccarono luce e gas. Lui continuava ad insultarla che era colpa della sua famiglia se non sapeva fare nulla e lei taceva ai suoi genitori queste situazioni. Finché la scuola la mandò a chiamare perché il secondo bambino aveva seri problemi coi compagni e con gli insegnanti. Le proposero degli incontri con uno psicologo che capì che i problemi importanti stavano all’interno della famiglia e glielo disse. Lei cominciò a riflettere, cominciò a pensare che forse non era tutta colpa sua quello che stava succedendo, come lui voleva farle credere. Una volta per la cresima del figlio più grande andarono ad acquistare l’abito per il papà che non trovò nulla che lo soddisfacesse e si infuriò. Saliti in macchina cominciò a sfrecciare a tutta velocità, contro senso, in una strada molto trafficata. Lei era seduta dietro con i figli più piccoli e da lì osservava inerme e con dolore le lacrime del figlio più grande seduto accanto al padre. Minacciava che voleva ucciderli tutti. E la paura di Tiziana aumentava giorno per giorno perché lui a casa aveva le armi. Nel frattempo, continuava il percorso psicologico iniziato di supporto al figlio e prendeva sempre più coscienza che nulla era normale di come lei e i suoi figli erano trattati da chi avrebbe dovuto, invece, proteggerli. Tiziana si osservava come se guardasse un film e sentiva che dentro di lei qualcosa si stava muovendo e probabilmente qualche sottile cambiamento cominciava ad essere evidente perché lui diventò sempre più violento ed aggressivo. I suoi figli avevano escogitato vari sistemi per proteggerla come rifiutarsi di andare a scuola oppure chiedevano di dormire con i genitori, Ma questo purtroppo non li preservò dall’assistere a rapporti notturni. Tiziana decise di rivolgersi ai servizi sociali e come un fiume in piena raccontò le violenze soprattutto sui figli ma l’accoglienza di cui aveva bisogno si rivelò vana, infatti, l’assistente sociale la rassicurò che avrebbe parlato col marito. Questo, sapeva bene, sarebbe stato il colpo di grazia e davvero li avrebbe uccisi tutti e quattro. Tiziana fu terrorizzata da quelle parole e scappò da lì. Quando si recò dai carabinieri sentì rispondersi che avrebbe dovuto fare la denuncia e loro avrebbero iniziato le indagini.
Come può una donna tornare nella casa col mostro dopo averlo denunciato?
Si sentiva umiliata. Lui ripeteva che non poteva dimostrare nulla, perché stava ben attento a non lasciare segni e così nessuno le avrebbe creduto. Allora suo figlio registrò col cellulare i maltrattamenti e i soprusi e lei riuscì a registrare mentre la violentava. Quando vide puntare un coltello alla gola dei bambini preparò con un avvocato una denuncia e decise che avrebbe salvato i suoi figli e se stessa finché fosse stata in tempo. E una mattina che lui andò prima al lavoro lei gli sottrasse la chiave della macchina e, aiutata da care amiche nei giorni precedenti per preparare piccole cose, caricò i suoi figli, passò dai carabinieri a depositare la denuncia e non fece più ritorno nella casa del mostro, cosciente che se fossero rimasti ancora lì per loro non ci sarebbe stato un futuro. Con tanto lavoro, volontà, speranza e voglia di vivere si stanno riprendendo tutti e quattro, hanno una loro casa che stanno riempiendo di sorrisi e quando chiudono la porta sanno che saranno sereni, protetti. Anche le discussioni tra loro sono benvenute perché aiutano a tirare fuori il dolore, la paura e il terrore accumulato in tanti anni. Le loro ferite sono profonde, ancora sanguinano ma si vogliono bene e si rispettano, questo è quello che conta di più. Il passato è lì davanti a loro ogni giorno che li guarda e non fa dimenticare nulla, come hanno raccontato anche in tribunale, ma sono consapevoli che tutto quel dolore appartiene a un tempo che non c’è più. Ora vogliono andare avanti, studiare, lavorare e cercare la felicità e ci stanno riuscendo perché la loro mamma lavora tanto e pesantemente, lotta per loro, mettendo al primo posto la loro salute e tranquillità. Tiziana è orgogliosa dei suoi figli pieni di fiducia, privi di rancore e rabbia e soprattutto hanno amore e rispetto per se stessi e se lo riescono a restituire tra loro. Tiziana è orgogliosa per la forza che ha trovato dentro di sé e che non pensava minimamente di avere, ma la paura per la vita dei propri figli l’ha portata ad essere molto coraggiosa e racconta, in convegni o nelle scuole, la sua storia per sensibilizzare chi è convinto che queste cose appartengano ad altri, per far conoscere vie d’uscita a chi è vittima di violenza e rassicurare che si può avere una vita propria e libera anche quando sembra che le mura di una casa ostile schiacciano. Tiziana ha imparato a chiedere aiuto ed è felice di poterlo restituire.
scritto da Laura Tussi, pubblicato in Womenews.net del 4 luglio 2020