di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
Opinioni, fatti e misfatti sulla labilità delle conoscenze e la proiezione nel futuro
Palù (già presidente dei virologi) e il caso anomalo dell’India. I paesi occidentali e americani hanno adottato strategie di contrasto al Covid basate su diverse modalità di restrizione fino a veri e propri lockdown nazionali generalizzati (come l’Italia). Secondo l’Università di Oxford che misura con un indice (Stringency Index) il livello di chiusure, l’Italia risulta uno dei paesi che ha fatto le maggiori restrizioni, ma i risultati nel contrasto al virus sono stati tra i peggiori. Ciò non significa che non ci debbano essere restrizioni, per esempio alcuni paesi come Taiwan e Sud Corea hanno dimostrato che chiusure rigorose (e anticipate) hanno avuto grandi effetti. Ma ciò è avvenuto nei paesi asiatici, mai in Europa o America. In quei paesi c’è una forte cultura di gruppo che manca da noi e potrebbe essere questa la ragione. Ma se le cose stanno così e in Occidente siamo meno disposti a drastiche e prolungate restrizioni, allora diventa importante “come” fare le restrizioni, come informare, educare ed essere trasparenti più che fare “propaganda” (noi meglio degli altri). E in Italia, se i risultati attesi non ci sono stati, vuol dire che “qualcosa è andato storto”. Per esempio il CTS stesso oggi ha cambiato idea e propone chiusure più mirate e localizzate che generalizzate.
C’è chi sostiene come il prof. Palù (presidente della società italiana dei virologi e poi di quella europea) che in Italia c’è anche un eccesso di infodemia, una informazione troppo allarmistica, in quanto a parlare (in tv, nei talk show,…) sono in troppi, mentre i 3-4 virologi più accreditati non sono mai apparsi in tv e negli altri paesi parla solo uno e basta. Palù non minimizza il pericolo del virus ma specifica che “positivo” al tampone non significa necessariamente né contagiato né che potrà infettare, significa solo che può essere entrato in contatto col virus ma che solo alcuni dei positivi potranno contagiare altri. Oggi questo vale anche per quei vaccinati con doppia dose che sono risultati positivi. La spiegazione sarebbe che il virus entra ma non è in grado di replicarsi e quindi di far ammalare o contagiare altri.
Le statistiche sui positivi sono quindi molto aleatorie.
Palù specifica inoltre che il tasso di letalità varia nel mondo da 0,3% a 0,6%, cioè un tasso molto basso, specie se confrontato con quello della Sars che era del 10%. Ci sono inoltre molti ricoverati in ospedale che potrebbero benissimo essere curati a casa, dove, a volte, i famigliari non li vogliono perché temono di contagiarsi. Inoltre i contagiati, sulla base di seri studi sierologici (svolti in molti paesi, ma anche in Italia) sono almeno 5 volte quelli ufficiali (2,8 milioni) per cui in Italia i contagiati reali sono oggi almeno 14 milioni (23% della popolazione). Del resto due indagini (Imperial College e Istituto Negri) avevano già indicato in 6,5/7 milioni i contagiati in Italia a febbraio 2020.
I paesi poveri non hanno potuto fare forti restrizioni in quanto in molti casi non si possono permettere di “ristorare” gran parte dei loro occupati, sia perché non hanno le risorse economiche, sia perché gran parte dei lavoratori sono precari e non possono permettersi di non lavorare senza morire di fame. Altro è invece il caso della Svezia che, come abbiamo già scritto, ha seguito deliberatamente un’altra via (quella dell’immunità di gregge), scommettendo che il virus sarebbe rimasto a lungo (cosa che va confermandosi) e quindi ha scelto una strategia diversa (più “omeopatica”), di graduale contagio della popolazione, pur proteggendo le categorie più a rischio (anziani con patologie pregresse).
Negli ultimi 2 mesi l’epidemia a livello mondiale è in rallentamento da 6 settimane (fonte Oms) e i contagi si stanno riducendo ovunque, ma, a causa delle “varianti”, in alcuni paesi come l’Italia i positivi sono in crescita. Nessuno sa però (vedi Palù) se si tratta di veri o falsi positivi. Là dove la campagna vaccinale è più avanti i contagi sono in calo (anche per i nostri over 80). I casi più evidenti sono Israele, Regno Unito e Stati Uniti dove i contagi sono scesi da gennaio (oltre 700 al giorno per 100mila abitanti) ai circa 200 di febbraio. In Europa sono scesi da 320 di inizio gennaio (picco massimo) a 180, mentre in Italia da 210 a 150 (in risalita però per gli under 80; per memoria il picco è stato di 400 al giorno il 9 novembre).
Un caso clamoroso è quello dell’India dove i contagi erano quasi 100mila al giorno in settembre (70 per 100mila abitanti) e sono scesi a febbraio a 15-17mila (12). Dati analoghi riguardano i morti che sono solo 113 per milione rispetto ai 1.608 dell’Italia (e ai 1.267 della Svezia). Nessuno sa quali siano le ragioni di questa scarsa diffusione del virus in India. Non è certo dovuta alla campagna vaccinale in quanto in India solo 1% ha ricevuto una prima vaccinazione, la quale procede molto lentamente sia per la carente struttura sanitaria pubblica, sia perché la prestazione è a pagamento (non il vaccino), nonostante l’India sia il primo produttore di vaccini al mondo con enormi scorte (ne ha già spedite all’estero 34 milioni di dosi).
Secondo gli esperti indiani il motivo più probabile è che il virus abbia già contagiato il 30% degli abitanti (tra i 300 e i 400 milioni di abitanti) e si sia diffuso soprattutto nelle città. Un dato quindi non molto diverso da quello italiano (23% di potenziali contagiati). Sulla base infatti di test sierologici effettuati su campioni rappresentativi in diverse città sembra che a Mumbay (Bombay) il 60% degli abitanti abbia già contratto il Covid, a Calcutta il 25%, a Pune addirittura l’80%. Se così stessero le cose, vuol dire che l’India si sta avviando (soprattutto nelle popolose città) a quell’immunità di gregge (70% circa) per cui il contagio declina senza usare il vaccino. I prossimi mesi ci diranno se le cose stanno così e speriamo che questa estate il virus scompaia favoriti dallo stare all’aperto e dal sole che dopo 7 minuti pare sia in grado di uccidere il virus.
Potrebbe però anche essere che in un paese povero come l’India i dati (contagi, morti) non siano affidabili e che sia avvenuta una cosa simile a quanto avvenne nel mondo nel 1957 quando l’influenza aviaria fece un milione di morti e il doppio nel 1969 (influenza di Mao o di Hong Kong), qualcosa come l’equivalente oggi di 4 milioni di morti (avendo più del doppio della popolazione di allora), ma nessuno né parlò né alla Tv né nei giornali. Allora si parlava dello sputnik russo e la Tv in Italia era appena arrivata (1954) e quasi nessuno se la poteva permettere.
Il mondo e anche i paesi occidentali (a parte Usa e Regno Unito) erano molto più poveri: altri tempi, altra concezione della vita (e della morte), altra sanità e altre preoccupazioni.
scritto da Andrea Gandini