di Alessandro Bruni. Biologo farmaceutico e cultore di scienze cognitive. Focus caregiver
Il nostro blog pone molta attenzione alla questione intergenerazionale, infatti sono molto frequenti post che riguardano sia i giovani, sia gli anziani. Il nostro blog cerca di svolgere questo proposito percorrendo una via che si lascia alle spalle alcuni luoghi comuni, magari non sempre così negativi, ma in ogni caso appesantiti da una certa retorica, che ci preclude di leggere la giovinezza o l’anzianità in un mutato quadro sociale, economico e culturale.
Con questo fine, dobbiamo imparare a leggere la vecchiaia come una stagione che è parte integrante della vita dell’uomo, e non l’anticamera dell’annientamento e della pura e semplice degenerazione. E in quanto parte integrante dell’essere uomini, dobbiamo “condurla” come una nuova stagione di vita, di attività, di generatività, di creatività e di dinamismo.
Un anziano può certamente essere efficace-efficiente-produttivo, ma in un modo nuovo, che non è quello della visione economicistica, bensì di quella antropologico-sapienziale. Gli anziani sono ormai i generatori di nuove azioni sociali. È la nostra organizzazione sociale, prima di tutto, che deve cambiare e disporsi ad avvicinare la vecchiaia come quell’età in cui l’uomo genera, secondo nuove forme e nuovi paradigmi.
Chiaramente la condizione anziana è definibile come metastabile ci sono anziani del tutto autosufficienti e anziani che lo sono meno. Per costoro che subiscono alcuni, anche importanti, condizionamenti della loro vita dovendosi appoggiare a qualcuno che si prenda cura di loro, è una condizione spesso umiliante e diventa importante per la loro vita la relazione che si instaura con chei si prende cura di loro, specie nell'ambito familiare. In questo post è di questo che vogliamo parlare: della costruzione della relazione tra anziano e familiare che si prende cura di lui. È una relazione bifronte dove il bilancio tra dare e avere, tra essere e non essere assume rilievi importanti per tutte e due le vite messe in gioco, sia da parte di chi riceve sia da parte di chi si prende cura.
Analizzeremo alcuni aspetti che ci sembrano cruciali elaborandoli dal bel libro di Ugo Albano e Nicola Martinelli, “Accompagnare alle frontiere della vita – Lavoro di cura, cure palliative, Death Education”. Maggioli Editore, 2020.
Gli atteggiamenti competenti
A partire dai valori e dai principi, e in particolare, dal concetto che l’uomo è un valore in quanto dotato di infinite potenzialità, capace di libertà, autonomia, in grado di compiere delle scelte consapevoli e creative, di prendersi cura degli altri, di assumere responsabilità, in grado di dominare le leggi della natura, si sviluppano gli atteggiamenti professionali. Gli atteggiamenti competenti sono quindi l’insieme dei “comportamenti ideali” che le professioni d’aiuto dovrebbero assumere nella relazione con l’utente.
Senz'altro i più importanti sono: l’accettazione, l’autodeterminazione, la particolarizzazione, la confidenzialità, la globalità, la disponibilità alla collaborazione e alla multidisciplinarietà, la disponibilità al cambiamento. Sul piano familiare l'atteggiamento di accettazione è condizione indispensabile per l’instaurarsi di un rapporto di fiducia e di un’alleanza terapeutica; la persona che non si sente accettata non sarà neanche disponibile alla comunicazione con il caregiver familiare, precludendo in questa maniera ogni possibilità di intervento. Un anziano che, al contrario, si sente valorizzato per le cose che fa, al quale viene comunicato che è un individuo a cui si tiene (particolarizzazione affettiva dei comportamenti), che viene spinto a migliorarsi e a cercare egli stesso le soluzioni più adatte per la situazione che vive (autodeterminazione), sentirà il caregiver che si prende cura di lui, non come una persona sulla quale scaricare le proprie angosce, ma come un valido sostegno su cui fare affidamento.
Un altro atteggiamento imprescindibile è la confidenzialità: tale atteggiamento non vuole trasformare un rapporto del caregiver in una relazione troppo amicale, ma sta ad indicare che, per poter capire a fondo alcune problematiche particolarmente delicate, bisogna mettersi sul piano delle persone che realmente le vivono, stabilendo un’alleanza terapeutica, rapportandosi in maniera empatica e partecipativa. Un’ultima considerazione va fatta in tema di globalità: non bisogna concentrarsi né solo sulla salute fisica, né solo sull’aspetto relazionale, ma integrare questi due settori in maniera coordinata ed efficace.
Le competenze pratico esperienziali dl caregiver anche familiare si collocano tra l’essere e l’agire. Per questo è fondamentale una formazione etica del sociale e del sanitario. Questa prospettiva non va comunque assolutizzata. Va contenuto il predominio dell’essere sull’agire. Spesso ci convinciamo che ciò che è importante è la teoria, non la prassi. Ciò che “si pensa”, non ciò che “si fa”. In ambito morale spesso si pensa che determinante è la rettitudine del pensiero, non la coerenza del comportamento.
La connessione tra fare materiale e saper stare in relazione è peculiarità della cura, è indicatore di qualità percepita, è particolarmente necessaria nei percorsi di fine vita. Questa impostazione innovatrice si scontra con una visione dualistica che scinde la mente dal corpo. Il benessere non è solo quello corporeo. Secondo la definizione dell’OMS il benessere è multidimensionale, abbraccia la sfera, corporea, relazionale, psichica, emotiva, affettiva, sociale, spirituale. La relazione è lo strumento di lavoro del bravo caregiver; essa chiama in causa i propri vissuti, il proprio senso delle cose, della vita, della morte, sui quali soggetto fragile e operatore si confrontano.
La relazione è la sostanza umana del lavoro di cura che non può essere altro che responsabilità dell’altro, in quanto è generata dall’attività di due persone reciprocamente collegate. In questo spazio-tempo del curare e del morire vi è un bisogno straordinario di riconoscimento e riconoscenza umana.
Diventa utile quindi aiutare chi si trova alle frontiere della vita a narrarsi. Attraverso la narrazione di sé il soggetto fragile diventa consapevole di sé, protagonista della propria storia, persona inserita in una rete di relazioni e dinamiche psicologiche. Per essere all’altezza del compito è opportuno che gli operatori dell’aiuto acquisiscano competenze etiche e relazionali nel lavoro di cura. Non si deve dimenticare che compito delle cure palliative è di supportare le persone ad esprimere nella malattia le proprie priorità, il proprio concetto di dignità, sospendendo ogni giudizio morale, ed evitando di proiettare sul malato le proprie priorità.
Nello svolgere il lavoro di cura e aiuto si devono acquisire competenze etiche e relazionali che si possono così declinare:
- rispetto dei valori e dei convincimenti etici della persona. Questo principio è spesso disatteso nel lavoro di cura. Bisogna ben guardarsi dal rischio sempre reale di imporre la propria gerarchia di valori;
- sostenere la persona nell’esercizio del suo diritto ad autodeterminarsi;
- ascolto empatico;
- vicinanza e lucidità affettiva;
- lavoro d’équipe e di rete;
- lettura multidimensionale dei bisogni.
L’acquisizione di queste competenze non si improvvisa. Non ci si improvvisa curanti, lo si diventa attraverso l’apprendimento di tecniche e strumenti.
L’etica dell’accompagnamento
Essa costituisce un nuovo approccio per gli operatori di cura. Punta ad un ascolto attento dei desideri del paziente dandogli la possibilità di esprimere i suoi sentimenti. L'etica dell'accompagnamento si fonda su due interventi principali:
1 – Alleviare il dolore per aiutare a vivere fino alla fine
Il dolore inchioda nell’isolamento, impedendo ad una persona di alimentarsi di ciò di cui si nutre: la relazione. L’isolamento è il peggior effetto della sofferenza. Costituisce una minaccia all’integrità personale una condizione definita come total pain. La medicina palliativa (dal latino pallium, ossia mantello), che ha fatto notevoli progressi, costituisce un aiuto prezioso e va conosciuta, valorizzata appieno per alleviare il dolore multidimensionale. Le cure palliative affermano il valore della vita, considerando la morte come un evento naturale; non prolungano né abbreviano l’esistenza del malato; provvedono al sollievo dal dolore e dagli altri sintomi; considerano anche gli aspetti psicologici e spirituali; offrono un sistema di supporto per aiutare il paziente a vivere il più attivamente possibile sino al decesso. Aiutano la famiglia dell’ammalato a convivere con la malattia e poi con il lutto.
2 – Decodificare i bisogni del paziente in fase terminale
Di solito con i pazienti terminali si comunica a senso unico impedendo loro di parlare. Dire o non dire? Si tratta di un processo, ossia di accompagnare il morente affinché giunga alla sua verità.
Da una parte, la via della negazione della morte che consiste nel proteggere ad ogni costo gli anziani dalla consapevolezza della morte e concentrare ogni sforzo nel prolungare la vita a qualunque costo. Dall’altra, la via dell’accompagnamento che consiste nell’accettare i limiti della medicina, spostando lo sforzo terapeutico dal guarire al prendersi cura, orientando le cure verso l’alleviamento dei disagi e del dolore; restare vicini al malato, camminargli accanto, dandogli la possibilità di esprimere tutti i suoi sentimenti, quelli negativi in particolare.
Compito specifico di un’etica dell’accompagnamento del malato terminale è di indicare le condizioni attraverso le quali passa una morte “degna” dell’uomo. Presupposto antropologico su cui si basano queste condizioni è la convinzione che il malato terminale non si riduce a un residuo di vita per cui non c’è più niente da fare, ma è invece una persona e cioè capace fino all’ultimo, se posta in condizioni di essere inserita in una relazione, di fare della propria vita un’esperienza di crescita. Da qui nasce il criterio di fondo a cui si ispira l’etica dell’accompagnamento: aiutare a vivere fino all’ultimo istante.
scritto da Alessandro Bruni con stralci riassunti dal libro di Ugo Albano e Nicola Martinelli, “Accompagnare alle frontiere della vita – Lavoro di cura, cure palliative, Death Education”. Maggioli Editore, 2020.