di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
E’ passato un anno dalla pandemia ed oggi la nostra Italia è ancora più diseguale se stiamo ai denari e al lavoro. Non tutti infatti sono stati colpiti nello stesso modo. Venti milioni di pensionati e dipendenti pubblici non solo non hanno perso il lavoro ma hanno aumentato il loro conto in banca di 75 miliardi (da 1042 a 1.117 miliardi di euro, +7,2%, fonte bancaditalia.it/pubblicazioni/note-covid-19/2021…).
Gran parte dei dipendenti del settore privato difesi da 143 miliardi di ristori (nuovo debito pubblico) con la Cassa integrazione, assegno ordinario del Fondo di integrazione salariale e dei Fondi di solidarietà, l’indennità di disoccupazione -NASpI, disoccupazione agricola-, il reddito di cittadinanza, il reddito di emergenza, le misure di sostegno agli autonomi e ai professionisti, il bonus per servizi di baby-sitting e altre tipologie di bonus) hanno perso relativamente poco. Circa un quarto delle famiglie ha percepito almeno una forma di aiuto dallo Stato tra settembre e novembre 2020. Anche considerando tali misure, un terzo delle famiglie ha dichiarato di aver subito nel complesso del 2020 una riduzione del reddito familiare rispetto all’anno precedente. I più colpiti sono stati i lavoratori autonomi e i disoccupati.
Le donne e uomini giovani (quasi sempre il segmento meno protetto del lavoro) sono quelli che hanno perso di più sia in termini di lavoro (-450mila occupati, fonte Istat) che di quei pochi risparmi che avevano da parte. Gran parte dei lavoratori che erano a tempo determinato o irregolari dell’alberghiero, turismo, ristorazione, parrucchiere, estetiste hanno perso il lavoro e altri (per sopravvivere) lavorano in nero presso le abitazioni dei clienti: si stima così che il lavoro irregolare sia cresciuto da 3,2 milioni a 3,5. Puoi chiudere ma non impedire che la gente si arrangi come avviene in India e nei paesi poveri.
La crescita della povertà è un altro fenomeno ampiamente documentato che questa volta colpisce soprattutto il Nord e che è meno visibile in quanto si tratta non di poveri o immigrati ma di una fascia sociale di italiani che lavorava in modo precario (al limite della povertà) e se la cavava con lavoretti ma che non è mai andata alla mensa della Caritas, la quale dichiara oggi che oltre il 40% sia un lavoratore autonomo, precario o un ex contratto a termine.
Nel Paese è molto forte la rabbia e frustrazione dei più giovani, sia degli studenti con scuole e università chiuse per un anno (dai 40 ai 50 giorni di scuola in presenza in 13 mesi), sia di quella fascia dei 25-45enni che sono i più colpiti dalla perdita di lavoro, da mancate assunzioni e nuove povertà (fonte Istat). Per questi non abbiamo alcuna rete sociale di protezione e i ristori basati sui Codici Ateco sono un residuato del fordismo del ‘900 e non più rappresentativi del lavoro oggi. La stessa Cassa integrazione (che i francesi hanno trasformato in un part-time con formazione) è una tutela che richiede modifiche e inventato 50 anni fa. Cosa si fa oggi per colf, badanti, autonomi, partite Iva, chi lavora nello spettacolo, i creativi che vivono delle reti urbane ora sfaldate? C'è bisogno di riformare un welfare che deve diventare anche più territoriale (vale anche per il Reddito di cittadinanza che non può essere erogato da Roma), per ricostruire le comunità con servizi di welfare pubblico universale e col supporto delle associazioni di volontariato, in modo da intercettare i veri bisogni e intervenire di conseguenza, fuori da procedure statali sempre più anonime.
La nostra proposta di inclusione sociale con un vero lavoro per i giovani favorito da un part-time di chi va verso la pensione (retribuito al 100%) deve essere la nuova riforma e la priorità del Paese, mettendo il lavoro giovanile e il XXI secolo al primo posto (mentre siamo immersi ancora nel XX secolo).
scritto da Andrea Gandini