di Paolo Bartolini. Filosofo, tra psicologie del profondo e spiritualità laica.
Non sono in molti ad aver colto la portata complessiva della pandemia/sindemia Covid-19. Miguel Benasayag, agli esordi dell’emergenza, ha giustamente osservato che il fenomeno si inscrive nella transizione delicatissima dalla modernità all’era complessa, dunque differisce (per motivi materiali e simbolici) da altre pandemie del passato. Il caos informativo che ci avvolge, le vite spezzate – più di tre milioni in tutto il mondo –, il dibattito democratico congelato e le strategie ambigue di fronteggiamento messe in campo dalle istituzioni dicono di una minaccia incombente: intellettuale, civile ed ecologica.
Se nella prima fase dell’evento pandemico/sindemico (quella che, grossomodo, si è sviluppata fino alla diffusione dei vaccini) la polarizzazione pericolosa è stata tra cospirazionisti più o meno reazionari e conformisti proni a qualunque decisione delle autorità governative, oggi assistiamo a un rimescolamento delle carte e delle posizioni.
Mantenere un punto di vista stabile su quanto va accadendo, in piena crisi della cosmovisione occidentale e all’apice della distruttività del tecno-capitalismo, è difficile e richiede l’arte dell’equilibrismo. Bisogna dunque entrare nel flusso e maturare una visione non rigida, bensì aperta e interrogante.
I vaccini sperimentali che abbiamo a disposizione, e la loro somministrazione, stanno scatenando feroci dibattiti online e nessun Esperto con la “e” maiuscola potrà dirimere le contraddizioni scatenate da un preciso evento epocale: la fine della fede assoluta nel progresso scientifico, morale e materiale annunciato dalla modernità alcuni secoli orsono. Il crollo dell’edificio rischia di seppellirci se non abbiamo la capacità di mantenere la rotta, coniugando ragione e immaginazione, rigore e creatività. Il motto “Lo dice la Scienza” non è più egemone, non tranquillizza i cittadini, anzi li allarma. Tutte e tutti sappiamo che non esiste un sapere oggettivo e universale, che possa imporsi con la sola forza delle sue ragioni interne. Troppe sono le contaminazioni sociali, economiche e politiche che fanno delle scienze un’avventura meravigliosa e arrischiata, non certo un campo di certezze indiscutibili.
Il pericolo, quando vacilla un’impostazione di realtà che ha formattato la nostra percezione per lungo tempo, è che si piombi nell’irrazionalismo, nelle credenze assolute prodotte da un crescente relativismo culturale e individuale. Allo scetticismo e alla razionalità calcolante del sistema tecnoscientifico ed economico, si oppongono talora prese di posizione altrettanto monolitiche, impossibili da discutere. La crisi della modernità si traduce, sul piano del dibattito pubblico, nella proliferazione di punti di vista spesso incomponibili e radicalmente non comunicanti. Sulla questione dei vaccini, ad esempio, è lampante che dei farmaci approvati in fretta e furia possano generare nel medio e lungo periodo effetti avversi. Potrebbero, come anche no. Allora come ci si orienta? Quali criteri condivisi possono guidare una valutazione informata degli eventi se siamo tutti vittime dell’infodemia? Appellarsi ai santini scientifici non dà frutto.
Per un Montagnier o per qualsiasi altro luminare che diffidi dei vaccini anticovid non ci sono forse, sulla sponda opposta, Gino Strada, Ernesto Burgio e mille altri medici seri e qualificati che auspicano vaccinazioni rapide per ampi strati della popolazione, in Italia e in tutto il mondo? I secondi sono forse al soldo di Big Pharma, sciocchi strumenti nelle mani di élite globali che stanno instaurando la tanto temuta “dittatura sanitaria”? Crederlo è rassicurante sul piano psicologico, ma sconfina nella paranoia e nella calunnia. Del resto è fuor di dubbio che non costruiremo una democrazia cognitiva matura affidandoci solo all’ipse dixit o, peggio ancora, alla contrapposizione tra personalità carismatiche e al sospetto metodico. Tutto questo rientra, prevedibilmente, nella crisi del principio di autorità che accompagna lo sfaldamento delle certezze moderne. All’uno vale uno dei social networks si oppone la sindrome Burioni come correttivo disciplinare da somministrare agli increduli impenitenti.
L’atmosfera che respiriamo è dunque segnata, in questa transizione preoccupante, da confusione e da prese di posizione personali che risentono molto delle nostre idiosincrasie, del modo di sentire la realtà, delle idee politiche. A colpi di dati e di peer review non credo che riusciremo a concertare decisioni collettive adeguate al passaggio in corso. Forse dobbiamo rieducarci al pensare insieme, riscoprendo l’importanza delle prospettive filosofiche ed etiche che sono alla base delle nostre considerazioni. Se dovessi definire un principio trascendentale minimo per il dialogo, direi che in ogni circostanza il dibattito democratico non può essere sospeso. Bollare qualunque opinione come “ideologica” a prescindere potrebbe compromettere l’accrescimento della conoscenza. Al contempo non possiamo tenere aperte delle controversie per anni, mentre un virus tiene in scacco gran parte dell’umanità. Nel mezzo del guado la tentazione è quella di girare la testa all’indietro e lasciarsi andare alla nostalgia. Ma dobbiamo proseguire la traversata.
Alcune cose oggi le sappiamo: il virus è pericoloso, ma non in egual maniera per tutti. Per molti è poco più di un’influenza, per i soggetti fragili può essere distruttivo al massimo grado. La sua dannosità si intreccia ai sistemi di protezione sociali che sono chiamati a gestire l’emergenza. In una società neoliberale le difese comuni sono più fragili, perché manca una cultura della cura e primeggia l’individualismo più bieco. Di questo si deve tener conto. Tuttavia la somministrazione dei vaccini e il confinamento non possono essere considerati soluzioni capaci di risolvere definitivamente i nostri problemi. Questa accoppiata, sostenuta dal battente martellamento dei mass media, svetta su una serie di priorità che non dobbiamo dimenticare e che i governi vogliono sospingere nella penombra. Servono investimenti e ricerche per avvalerci delle terapie anticovid più promettenti ed efficaci. Serve, soprattutto, la messa in discussione radicale di una sanità ridotta a terra di conquista per gli interessi privati. Il servizio pubblico va potenziato e così la rete della medicina territoriale. Per non parlare dei brevetti dei vaccini e delle cure da garantire senza oneri alle popolazioni povere e non. Più a monte, infine, dobbiamo parlare di riconversione ecologica, intervenendo là dove maturano le precondizioni per le future pandemie. Tutto questo dovrebbe giungere in figura e non perdersi nello sfondo.
Non mi abbandona, in queste settimane, la sensazione che la polarizzazione a cui stiamo assistendo nell’opinione pubblica possa tornare utile solo al potere costituito e alle forze neofasciste (che cavalcheranno il malumore di tanti solo per interessi elettorali). Ecco perché, mai come oggi, mi sembra che il bene comune sia appeso a un filo. Ogni decisione individuale e collettiva dovrebbe essere tesa a proteggere questo fragile tessuto che ci tiene insieme, invece che a lacerarlo definitivamente. Ma non saranno dei principi astratti a rendere possibili nuovi comportamenti ecologici. Dobbiamo, piuttosto, affidarci a un’etica del viandante (qui riprendo a modo mio un concetto creato alcuni decenni fa dal filosofo Umberto Galimberti) capace di mutare in armonia con lo sviluppo reale delle situazioni critiche a cui si applica. Un’etica della resistenza oggi indispensabile. A cosa dovremmo resistere in particolare?
- al riduzionismo e alla semplificazione (etichettare come negazionista o no-vax chiunque non concordi con la gestione attuale della pandemia è miope e sciocco come considerare i vaccini dei nemici da sconfiggere);
- ai diversivi che confondono le acque: ad esempio, non cambia poi molto se il virus Sars-Cov-2 proviene da un episodio di spillover o è fuoriuscito da un laboratorio (sono talmente tanti i virus in agguato, dovuti all’ecocidio scatenato dal tecno-capitalismo, da rendere indispensabile un esame accurato dell’ambiente dove gli agenti patogeni fluttuano e si riproducono. Da qualunque parte provenga, un virus va compreso in chiave sistemica, a partire dai processi ricorsivi che ne sostengono o ne impediscono la diffusione). Il nemico di tutti, in altre parole, non è una malvagia eminenza grigia, ma è il sistema di astrazione che, sfruttando il pianeta e i suoi abitanti, crea le condizioni per decine di pandemie nei prossimi anni. Come potremo affrontarle se la struttura della vita associata rimane quella neoliberale?
- alla regressione pilotata del sistema informativo e di quello educativo, entrambi centrali per formare cittadine/i consapevoli capaci di argomentare, di far valere opinioni nel rispetto degli altri, di strutturare domande scomode per il potere;
- alla tentazione di aver compreso la realtà e le sue contraddizioni una volta per tutte, con il rischio di paralizzare il pensiero critico.
scritto da Paolo Bartolini, pubblicato in Sinistrainrete del 21 luglio 2021