di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
Il Corriere della Sera ha pubblicato il 13 luglio una bella lettera di Barbara Gleria in cui racconta la storia di Omar, un ragazzo di 17 anni che ha impiegato due anni per arrivare a Vicenza dove è stato preso in carico come rifugiato per due anni e mezzo ma senza trovargli lavoro (e quindi neppure avere una residenza). Scaduto il permesso umanitario non ha più potuto trovare un lavoro legale (se non in nero e spesso breve) ed è entrato in quel circolo vizioso per cui non puoi avere un lavoro legale se non hai il permesso e non puoi avere il permesso se non lavori legalmente. Come tanti altri ha così iniziato un calvario fatto di precarietà, di notti in case abbandonate o dalla Caritas, di ritiro del passaporto, di consegna di un “foglio di via” nel quale è scritto “non rimpatriabile” (sic). Fantasmi e vite di scarto che vivono di qualche generoso aiuto o finiscono nelle reti della criminalità.
Omar, con uno Stato che funziona, potrebbero invece trovare un impiego se si pensa che ha preso il certificato A2 di Italiano, la licenza media, la patente di guida del muletto e vive a Vicenza dove cercano come il pane operai.
Cos’è che non funziona in Italia? In primo luogo il sistema di accoglienza è stato disegnato in modo da essere finanziato se eroga pasti, alloggio e qualche ora di formazione (una cosa facile) e non incentivato nel trovare lavoro (più difficile); e dopo anni siamo ancora a questo stesso modello. Poi la stupidità di uno Stato che non trova il modo (una sanatoria di 12 mesi?) per aiutare chi ha mostrato buona volontà a riottenere o un rimpatrio assistito o quel permesso che ti consente di lavorare legalmente o di dare immediatamente il permesso a chi trova un lavoro legale. Infine cambiare il percorso di chi cerca lavoro (o l’ha perso) con nuove modalità di incontro tra imprese e disoccupati (e questo vale anche per gli italiani), in cui i soggetti reali (datori di lavoro e disoccupati) sono messi a confronto tra loro con “mercatini” e si scelgono reciprocamente, come abbiamo sperimentato con successo in 20 anni a Ferrara, avviando poi gli “idonei” al lavoro all’interno delle “squadre di lavoro” che sono in grado di formarli molto più rapidamente di qualsiasi corso di formazione, anche se questo non vuol dire escludere i centri di formazione che possono fare un diverso mestiere sia di accompagnamento che di integrazione teorica, in modo che dopo 3-4 mesi di stage o tirocinio sono già in grado di pagarsi il salario e quindi avere un contratto legale. Per moltissimi lavori non qualificati (o di media qualificazione) ciò è possibile e sono anche quelli più ricercati dalle imprese.
In questa inefficienza la maggiore responsabilità è dello Stato, dei Servizi per l’Impiego, dei Servizi di accoglienza dei rifugiati/immigrati e dei Centri di formazione. Il cambiamento non passa da nuove leggi ma dallo sperimentare nuove modalità, buone prassi e poi metterle a regime in tutto il paese. Bisogna tornare a sperimentare e a valorizzare le buone prassi e abbandonare i conflitti ideologici e parolai nell’interesse di tutti (italiani e immigrati).
scritto da Andrea Gandini