di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
La crisi è talmente catastrofica che la Banca Mondiale la considera “tra le tre più gravi al mondo degli ultimi 150 anni”. I 6 milioni di cittadini (e il milione di profughi siriani arrivati nel 2018) hanno visto congelati i loro pochi risparmi bancari, l’elettricità manca sempre più, la benzina è razionata, nei supermercati si trova sempre meno cibo, mancano le medicine, i salari sono crollati e il valore di mille lire libanese è passato da un dollaro US a 5 centesimi, il debito pubblico è salito al 180% e il Pil si è ridotto del 40%, per cui più di metà della popolazione è sotto la soglia di povertà e moltissimi hanno perso il lavoro.
Molti ricorderanno la terribile esplosione del 4 agosto del 2020 che ha fatto 200 morti, 6mila feriti e devastato il porto di Beirut che non era un attentato di “nemici esterni”, ma l’ennesima prova della corruzione e ignavia di una intera classe politica corrotta fino al midollo che aveva abbandonato per 7 anni un enorme deposito di 2.750 tonnellate di nitrato d’ammonio accanto a… fuochi di artificio. La dimostrazione di uno Stato fallito in cui i partiti (a parole) si fanno la guerra ma, sottobanco, si spartiscono il paese e lo depredano come per esempio vendendo la benzina al regine di Bashar Assad che paga di più e facendo fare file infinite ai suoi poveri cittadini.
Chi può scappa dal paese, ma quali sono le vere cause di questa catastrofe? Da quando è indipendente (1943) il Libano non ha mai tenuto un censimento, l’ultimo risale al 1932 che è stato alla base del “Patto nazionale” e che stimò che i cristiani avevano il 51% della popolazione per cui il presidente è sempre un cristiano maronita, il primo ministro un musulmano sunnita, il presidente del parlamento un musulmano sciita e così via per il resto delle cariche dello Stato.
In parlamento i rapporti sono congelati (sei a cinque) a favore dei cristiani sui musulmani. Ciò determina uno Stato straordinariamente debole per cui i vari servizi, la salute, l’elettricità sono forniti dalle singole comunità religiose. Nonostante abbia una delle popolazioni più istruite del Medio Oriente e una università tra le più moderne il problema è che lo Stato è stato progettato apposta per essere intrinsecamente debole e in mano alle varie comunità religiose che si sono fatte una guerra civile sanguinaria dal 1975 al 1989 e da cui nacque l’accordo di portare al 50% la rappresentanza paritaria tra cristiani e musulmani in parlamento.
Nessuno sa quanto pesino oggi le singole comunità religiose ma a nessuno interessa, così lo Stato è assente, a governare sono le singole comunità religiose e intanto l’intero paese affonda nella miseria. Un esempio di come il bene della propria “etnia religiosa” vada a scapito dell’intera società e umanità.
Ovviamente qui la spiritualità non c’entra nulla, le religioni in questo caso sono “maschere di Dio” che servono a mantenere il potere delle varie élite e dei clan dei capi tribù a scapito di tutti e di tutto. Inutile chiedere aiuti esterni…bisogna che i libanesi dal basso mettano mano al sistema istituzionale che è stato progettato per difendere (a parole) le identità religiose ma di fatto minare la vita di tutti i libanesi.
scritto da Andrea Gandini
Commento di Alessandro Bruni. Andrea Gandini mette il dito su una piaga che nasce da lontano: un conflitto religioso che con alti e bassi dura tutt'ora. Questo guerreggiare religioso ha trovato sponda nella politica che tende ad estremizzare i conflitti per trarne vantaggi elettorali o di potere per favorire l'aiuto internazionale per la propria parte politica e religiosa. Viene da chiedersi, non fosse per i cittadini più poveri e le famiglie con bambini allo stremo, se questa politica di aiuti a pioggia senza un reale controllo in partenza e in arrivo sia veramente utile e soprattutto se in effetti costruisca il futuro del Libano. Non si può certo ora fare distinguo troppo raffinati specie con persone ridotte alla fame, ma d'altra parte non si può nemmeno permettere il crearsi di una situazione assistenziale senza fine e senza un vero scopo per il loro futuro. Le associazioni di volontariato italiane meno radicate sul territorio libanese dovrebbero cercare di muoversi in cooperazione con associazioni italiane o internazionali che agendo già nel Libano conoscono quali sono le iniziative da sostenere più utili e smettere di fare viaggi di conoscenza che talora servono solo ad un ritorno di immagine in Italia e non di azione concreta in Libano. Considerazioni queste che devono essere accompagnate dalla lettura del “mea culpa” di Papa Francesco per le “opacità” nel cammino delle comunità cristiane nel Paese dei cedri pronunciato in S. Pietro.