di Riccardo Larini, teologo e di Alessandro Bruni, amministratore del blog.
Originariamente stralcio di un post di pari titolo di Riccardo Larini con rielaborazione a risposta dii Alessandro Bruni. Questa vuole essere un dialogo a distanza sulla nascita del noi religioso. Un artificio per rendere prossime e a confronto due persone che si leggono e non si conoscono sulla base dei significati evidenti e nascosti contenuti nel titolo.
Bruni. Come sappiamo ogni comunità umana nasce con uno scopo: di familiarità, di interesse materiale, di sopravvivenza, di visione e senso della vita, di aderenza spirituale, di aderenza religiosa. Quest'ultima è quella che ha avuto nella storia dell'uomo maggiore successo potendo unire l'aspetto trascendente con una prassi liturgica e un comportamento di appartenenza con vantaggi di idealità e di sopravvivenza materiale.
L'uomo è animale sociale e nella storia ha finito con lo sperimentare molte comunità associative di stampo religioso elaborandone i pilastri che varcavano i confini di gruppo e al contempo ne esaltavano le singole qualità individuali al servizio nel solo della singola persona ma dell'intera comunità aggregata dalla costituzione di un “noi” che suggellava l'appartenenza rispetto agli altri, ma anche la distanza dagli altri, le differenze, un cerchio fatto con un bastone che divideva fisicamente noi dagli altri. Ma anche modalità del credere differenti, dei differenti, una lontananza di costruzione umana che ne ha determinato la differente etnia e la differente religione.
Solo in anni recenti è rinata la considerazione di un unico Dio che non appartiene a nessuno, ma che si è espresso con modalità diverse e con la scoperta di essere rivestiti di una crosta sedimentaria di appartenenza, di un esoscheletro che la globalizzazione sta distruggendo e di cui noi stessi sentiamo il bisogno di svestirci. È il desiderio di toglierci dal mondo per ritrovare quelle essenzialità che governano la nostra vita tra la nascita e la morte e che nella intimità di solitudine o di piccola comunità possono dare senso compiuto interiore a questa ricerca di necessità.
Larini. Un esempio molto bello di questo intreccio talvolta inestricabile della costruzione di una comunità religiosa è visibile nella serie televisiva “I pilastri della terra”, scritta da John Pielmeier adattando l’omonimo romanzo di Ken Follett, in cui attorno alla costruzione nel XII secolo della cattedrale di Kingsbridge (città fittizia) si assiste a tutto il dramma suscitato dagli incontri e dagli scontri tra figure simbolo delle aspirazioni umane (dalle più basse alle più nobili e spirituali).
Un’applicazione molto concreta di queste considerazioni si ha nella vita religiosa, laddove con tale termine si intenda la scelta di plasmare la propria esistenza a partire da ispirazioni forti e durature collegate al divino o alla religione. Alla sua radice vi è spesso una sorta di “ideale monastico”, una modalità radicale e profondamente intima e personale di vivere il rapporto con il nucleo della propria ispirazione. Da cui il desiderio di unificazione attorno a un principio (si veda l’origine della parola monachós), che porta a un desiderio di ritirarsi, di guardare altrove e nell’intimo, corredato o meno dalla limitazione di alcune sfere (in primis anche se non necessariamente o esclusivamente quella sessuale) onde concentrarsi su ciò che è ritenuto “essenziale”.
Il “monachesimo” lo si può vivere anche da soli, senza appartenere a una comunità che ha relazioni e commerci quotidiani. L’eremitismo è sempre esistito e sempre esisterà, anche in seno alle nostre città e in una miriade di forme differenti. Esistono inoltre forme talvolta fiorenti di vita religiosa (si pensi a monasteri come quello odierno di San Macario, in Egitto) che si reggono su un regime “idiorritmico”, ovverosia in cui i singoli sono collegati unicamente dal padre spirituale che ne accompagna il cammino cercando di adattare le esigenze della vita spirituale e monastica a ciascuno.
Bruni. Non ha forse questa modalità di comunità monacale una grande affinità con quanti scrivono in un blog senza relazione fisica, senza reale conoscenza degli autori del blog con l'unico governo dell'amministratore che sollecita, corregge e sceglie gli scritti determinando la costruzione di un noi che originariamente non esisteva? Sembra sul piano moderno un quasi regime “idiorritmico”.
Larini. In ambito cristiano (ma non solo), la dimensione comunitaria non scompare tuttavia quasi mai dall’orizzonte del religioso, quanto meno sotto forma di partecipazione alla liturgia, ossia alla preghiera comune della chiesa e del gruppo religioso di appartenenza.
Gran parte delle nostre comunità “religiose”, però (ma molto di ciò che dico si applica anche alle parrocchie e alle associazioni di credenti), viene all’esistenza quando diverse persone riconoscono di avere una comune “vocazione” e perciò ritengono sia di potersi aiutare a rispondere meglio alle esigenze e le ispirazioni avvertite pur sempre in maniera intima e individuale, sia di dover dare luogo a raggruppamenti in cui la risposta collettiva, la creazione comunitaria, acquisisca dimensioni ulteriori rispetto al puro cammino di crescita individuale.
Nel momento stesso in cui l’avventura religiosa diventa “comunitaria”, ad essa si applicano immancabilmente tutte le analisi e le considerazioni sviluppate dalle discipline che si occupano di raggruppamenti umani, dalla sociologia alla psicologia sociale, anche laddove insorgono questioni di natura patologica. Detto altrimenti, le comunità religiose sono soggette a tutte le dinamiche virtuose ma anche alle deviazioni proprie di qualsiasi gruppo umano, da quelle collegate al potere e al suo esercizio, a quelle connesse al tipo di persone che un gruppo attrae a seconda della propria conformazione e strutturazione.
Oggi la vita religiosa di ogni genere è decisamente in crisi nel nostro mondo occidentale: scarsa frequentazione delle chiese, qualità di vita umana spesso ai limiti del tollerabile in conventi e istituzioni ufficialmente religiose, enorme difficoltà di reperimento di guide spirituali capaci di valorizzare le aspirazioni spirituali dei singoli senza irregimentarli e senza finire per promuovere infantilismi spirituali di vario genere. Sono ormai in molti a pensare, senza magari osare dirlo ad alta voce, che l’unica forma di sopravvivenza della religione potrà essere quella individuale, in cui uomini e donne si uniscono per compiere tratti specifici di cammino, senza tuttavia dare vita a realtà in grado di superare la prova del tempo. Un po’ come accade nella rete, dove si sceglie costantemente di entrare e uscire da gruppi a seconda delle ispirazioni e degli interessi del momento, sentendosi liberi di non impegnarsi definitivamente in nulla.
Bruni. Larini tocca un tasto nuovo: la nascita nel singolo, già appartenente di nome o di fatto ad una comunità religiosa, del desiderio di costruirsi un atteggiamento personale verso la religione e soprattutto verso la comunità religiosa come lui l'ha conosciuta. È un processo che nasce lentamente, dapprima per non sentirsi in sintonia con quanto ascoltano dal pulpito o nei media, poi rallentando sino ad escludere la propria presenza alla liturgia, infine con lo smettere di pregare nel modo consueto da catechismo per rivolgersi al proprio Dio in forma diretta per trovare risposte non mediate dal pensiero critico altrui, ma dal proprio. È la nascita di un individualismo religioso sempre più frequente che rimane fuori dalle chiese, ma che ha un forte desiderio di riconoscimento interiore nella propria individualità. Si dice di costoro che si fanno papi di se stessi, mentre a me viene da dire che si fanno monaci di se stessi conducendo una profonda vita religiosa interiore lontana dagli orpelli esoscheletrici della società e della religione stessa. Devono essere aiutati a rientrare nella casa madre o sono avanguardie di future e più intense religiosità adeguate ai tempi?
Larini. A rendere fosco il quadro vi sono tuttavia le frequenti notizie di comunità in crisi, talvolta anche gravi, che non paiono risparmiare nessuna realtà (si pensi al caso clamoroso di Bose). La quantità di abusi di vario genere compiuti in realtà “religiose” non può essere più taciuta, e anche laddove la parola abuso non calza, non si può tacere la crescente difficoltà che le realtà comunitarie di matrice religiosa incontrano alla ricerca di forme di vita più conformi sia «alle mutate condizioni dei tempi» sia soprattutto «alle odierne condizioni fisiche e psichiche» dei loro membri, come recitava nell’ormai lontano 1965 la Perfectae Caritatis, il documento conciliare dedicato a un “opportuno rinnovamento” della vita religiosa.
L’eventuale rinuncia a una dimensione comunitaria, o per lo meno una sua forte riduzione, avrebbe un impatto non di poco conto sulla capacità della fede religiosa di dare un senso alle società in cui si manifesta e fiorisce. Come ogni rinuncia al pubblico e al comunitario, sarebbe un impoverimento notevole. Nel cristianesimo, poi, il puro individualismo spirituale sarebbe una vera e propria controtestimonianza rispetto alla promessa di koinonía universale che esso annuncia fin dai suoi albori.
Bruni. É questo un punto di fondamentale importanza se si seguono criteri del passato religioso tra riforme e controriforme. Ma oggi nessuno prende più scudo da comunità numerose per portare avanti riforme o controriforme (che pure ci sono, si pensi alla critiche più o meno velate che si rivolgono al Papa di Roma). Ma oggi non è più come ieri. Le lotte per gli ideali, anche politici, non partono più da adesioni ad idealità, ma sono massimamente determinate da visioni di interessi economici e di fruibilità del mercato dei beni. La vera religione a cui in massima parte le persone aderiscono in tutto il mondo, è la possibilità di accomodarsi alla tavola del consumismo. Ormai gli pseudoideali dell'800 e '900 sono consunti e ci si rende comunità politica per interesse di scopo. Le guerre hanno da sempre questo determinante, ma anche la fruizione dei beni di consumo, dal cibo al vestire. Si vive la contemporaneità nella temporalità: si vogliono figli quando ci si accorge che il tempo sta passando, si vuole la salute quando ci si accorge del troppo che abbiamo mangiato e bevuto, ci si accorge della morte quanto le rughe ornano il viso e si fa fatica ad allacciarsi le scarpe. Solo allora ci si accorge che la partita a scacchi con la morte non la si può vincere e si cerca di allungare il tempo chiedendo alla cosmesi un allungamento di apparente vitalità.
Larini. Che fare, allora? Accettare di affrontare a viso aperto i problemi, cercando di capire cosa è possibile abbandonare o cambiare in vista di una vita più piena e umana nelle nostre comunità religiose di ogni genere, da quelle parrocchiali a quelle conventuali e di azione comunitaria con fini spirituali o religiosi. E soprattutto accettare integralmente la sfida principale: guardare in faccia il “mostro” del potere, sottoporre le nostre forme di organizzazione e di autorità a una critica e una revisione radicali, compiute utilizzando ogni risorsa a disposizione, da quelle fornite dalle scienze umane a quelle disponibili tramite il nucleo del messaggio evangelico. Sarà un processo sicuramente doloroso ma altresì catartico e necessario.
Bruni. Sì, sarà così, ma con spirito nuovo cominciando a sgomberare dalla nostra testa tutte quelle suppellettili che hanno ornato la nostra casa e sono divenute oggetti inutili e polverosi. Sarà anche una via solitaria individualista di raccordo personale con l'etica e la morale interiore, quella dei piccoli gesti quotidiani fatti con senso interiore piuttosto che “perché così fan tutti”. Sarà la necessità di passeggiare soli nell'armonia della natura, abbandonarsi alle fughe dell'io interiore, alla costruzione di un senso intimo che pacifichi l'ansia della solitudine, della vecchiaia e della morte, nel rifiuto del dolore inutile, nell'autodeterminazione in rapporto diretto e solitario, se crediamo, con il trascendente. Per nascere e crescere abbiamo bisogno di relazioni, soprattutto familiari, per morire si sarà soli e saremo felici se qualcuno che amiamo nel trapasso ci terrà la mano. Di più non potremo avere.
scritto da Riccardo Larini, pubblicato nel blog dell'autore, Riprendere altrimenti, il 17 agosto 2021 e commentato da Alessandro Bruni