di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
L’evoluzione della pandemia, con i suoi alti e bassi, dovuti alla sua variabilità, alle varianti e alle difficoltà di raggiungere rapidamente una estesa vaccinazione dei cittadini, ci comunica comunque un messaggio inequivocabile. Nel mondo di oggi, con la sua integrazione economica, sociale e politica, e la sua connessione digitale, tutti i cittadini del globo partecipano sui grandi problemi collettivi a un destino comune. Come si dice, siamo tutti sulla stessa barca, e non è possibile pensare e realizzare la loro soluzione in modo differenziato per singolo paese o continente.
Nel caso del Covid riusciremo a porre la pandemia finalmente sotto controllo garantendo la nostra sicurezza, soltanto quando l’immunità diventerà conquista e patrimonio comune di tutti gli abitanti del mondo. Finché esisterà un focolaio fuori controllo, anche in un posto tra i più emarginati del pianeta, rimarrà il pericolo del riproporsi di una nuova ondata. Inoltre, la comparsa delle varianti del virus, restringe i tempi entro i quali raggiungere una immunità sufficiente. Questo evidente destino comune sulla grande questione della salute pubblica, nel decisivo discrimine tra la vita e la morte, come necessità dell’unità solidale del genere umano, trova ancora non poche difficoltà nell’essere percepito dall’azione politica concreta, specie a livello dei rapporti internazionali.
Lo dimostra quanto sta accadendo in queste ore in Afghanistan con la decisione del ritiro unilaterale delle forze militari americane, dopo che per un ventennio hanno sostenuto una guerra contro l’estremismo islamico. Il presidente americano Biden, sulla scia dell’intesa raggiunta a Doha dal suo predecessore Trump, avendo presente soprattutto l’orientamento negativo della maggioranza dei cittadini americani nei confronti di una guerra nei fatti persa già da tempo, ha ritenuto necessario porvi fine, senza valutare le inevitabili conseguenze per il suo Paese e per i suoi alleati, in una delle aree più critiche dello scacchiere globale, già teatro di conflitti etnici, politici e religiosi. Mentre appare legittimo interrogarsi sull’esito fallimentare di un ventennale intervento bellico Usa che non ha risolto nessun problema, senza favorire alcuna capacità di autogoverno del popolo afghano, ciò che impressiona nella decisione di Biden è la totale sottovalutazione delle possibili conseguenze, che la lunga presenza sul posto avrebbe dovuto rendere evidenti. Si è trattato di una decisione tutta di politica interna, pensando credo di lucrare quella parte di popolarità che Trump era riuscito a raggiungere coniugando “America first”.
La stringente lezione unitaria della pandemia è stata colpevolmente dimenticata, e oggi ci troviamo con l’Afghanistan consegnato ai talebani che, nonostante qualche adeguamento tattico, sono portatori di una concezione della società e del ruolo della donna del tutto incompatibili con i diritti civili e democratici, patrimonio della modernità. L’effetto immediato è stato una fuga generale di centinaia di migliaia di afgani che assediano tutte le possibili vie di espatrio dal terrore, preferendo una dolorosa condizione di profughi alla perdita di libertà, diritti e dignità. Se a questo aggiungiamo il disastroso, primo attentato con 170 morti, compresi alcuni marines Usa, e oltre duecento feriti, da parte dell’Isis che cerca di approfittare della situazione di caos per imporre la sua egemonia terroristica sull’insieme dei gruppi del fondamentalismo islamico, comprendiamo quale cumulo di terrore, violenza, soprusi si è concentrato in quest’area, rendendola un drammatico problema di sopravvivenza della dignità umana per l’intera comunità internazionale.
Biden si è reso conto a posteriori di ciò che ha combinato, ma con le sue tardive promesse di vendicare questo orribile attentato dell’Isis, manifesta soltanto la sua impotenza di fronte al disastro che si è determinato. Oggi la comunità internazionale si trova di fronte al dramma di una regressione politica ed umana, con una moltitudine di profughi che premono e chiedono aiuto sentendosi abbandonati. Non si sa a quale situazione sarà possibile arrivare, ma è certo che questa realtà non sarà superata in breve tempo e costituirà un problema drammatico con il quale l’amministrazione Biden fare i conti, forse in modo decisivo. L’errore fondamentale di Biden è stato di agire per conto proprio, limitandosi a informare gli alleati a decisione già presa.
Per cui oggi non sappiamo, se la riunione del G 20, che si cerca di convocare in via straordinaria si fosse svolta prima di decidere, la scelta sarebbe stata diversa. Certo avremmo avuto il tempo di valutare attentamente tutti gli aspetti in gioco e di assumere decisioni con una maggiore responsabilità collettiva. Ora bisogna agire nell’emergenza, cercando di salvare il salvabile. Un compito che spetta innanzitutto all’Occidente, che in tale occasione ha dimostrato scarsa attenzione alla evoluzione degli eventi e una colpevole divisione di fronte alla assunzione di responsabilità comuni, specie sulla accoglienza dei profughi. In particolare, tale limite si sta manifestando in Europa che ancora una volta si dimostra politicamente inferiore al compito che la realtà gli assegna.
Questa vicenda ha dimostrato anche la fine delle ambizioni imperiali degli Usa, che non riescono più a svolgere il ruolo di garante della sicurezza internazionale, per cui la riproposizione di un mondo bipolare Usa-Cina, all’insegna di una nuova guerra fredda, appare del tutto inidoneo a regolare i rapporti internazionali. Se la prospettiva verso cui è necessario procedere è quella di un mondo multipolare, il ruolo dell’Europa diventa fondamentale. A patto che sia in grado di diventare un vero soggetto politico, con politica estera e di difesa comune. Un terzo polo essenziale per costruire un nuovo equilibrio dei poteri a livello globale, che impedisca il riproporsi di pericolose egemonie e garantisca un assetto più stabile ed equilibrato. Ancora una volta l’Europa rimane la chiave di volta per un mondo più equo e pacifico. Dobbiamo tenerlo presente anche nelle scelte politiche dell’Italia.
scritto da Luigi Viviani