di Massimo Recalcati. Filosofo e analista lacaniano della società.
Sconcerterà il teologo tradizionale e scolastico il nuovo libro di Isabella Guanzini titolato Filosofia della gioia e pubblicato da Ponte delle Grazie.
Filosofa e professoressa all’Università di Vienna per la cattedra di Teologia fondamentale, con una scrittura felice e libera dagli sterili impaludamenti filologici dell’erudizione universitaria, con questo agile testo l’autrice mescola con apparente normalità testi e tradizioni non solo alternativi, ma anche storicamente e ideologicamente antagonisti.
La sua audacia le consente di fertilizzare le citazioni bibliche con riferimenti all’opera di autori rigorosamente atei come Nietzsche e Deleuze e grazie ad essi di mostrare che nello stesso testo biblico il centro è costituito dal grande e comune tema della forza della vita, della gioia della vita. La posta in gioco di questa operazione non è provocatoria. Si tratta invece di mostrare come il problema dell’affermazione generativa della vita – della sua gioia – non trovi nel logos biblico un ostacolo, una recinzione moralistica, un ripudio repressivo.
Quello che con forza e lucidità Guanzini intende mostrare è che il tema della vita viva, della vita che non ha paura della vita, della vita ricca di gioia è centralissimo proprio nel testo biblico e che esso ritorna anche nello spinozismo e nel bergsonismo di Nietzsche e, soprattutto, di Deuleze. Il comune denominatore è il rifiuto del nichilismo, della spinta alla morte che accompagna il carattere insensato dell’esistenza. Di fronte a questa ripetizione priva di differenza, Deleuze può legittimamente affermare: «Un po’ di possibile, altrimenti soffoco».
Il suo spinozismo e il suo bergsonismo si contrappongono così ad ogni determinismo, mostrando che c’è sempre una possibilità che il nuovo emerga perché la vita non è altro che uno slancio (èlan vital, secondo il Bergson dell’Evoluzione creatrice) che rinnova infinitamente se stesso dispiegando una virtualità che si attualizza in modi imprevedibili, scompaginando l’inerzia della materia con la sua forza eccedente. Ma la stessa esigenza di interrompere la rappresentazione dell’esistenza come ripetizione insensata dello Stesso si trova anche nella parola di Gesù, quando, per esempio, evoca la necessità di mantenere aperto il tempo, di non lasciarlo in balia della ripetizione, di preservare sempre la possibilità del nuovo, invitando ciascuno di noi a fare fruttificare i suoi talenti, ovvero a vivere la gioia.
Mentre il nichilismo ipermoderno vive il tempo come una successione anonima di istanti fagocitati da un iperattivismo senza desiderio, « nella tradizione cabalistica ogni giorno deve essere considerato da ciascuno come il solo giorno in cui si esiste veramente », poiché, come mostra anche la predicazione di Gesù, « ogni giorno è il Giorno del Giudizio» : il Regno non è al di là del mondo ma è sempre “adesso” o non è. Per questo lasciare la porta aperta all’arrivo del Messia significa lasciare la porta aperta alla vita che vuole vivere nella gioia. È solo su questo terreno che verremo giudicati. Non dalla conformazione delle nostre azioni ai precetti formali della morale religiosa, ma dalla nostra capacità di vivere la gioia, dalla nostra capacità di non separarci dalla potenza generativa della vita.
Se infatti la gioia è l’immagine più ricca di questa potenza, la tristezza, come insegna Spinoza, scaturisce invece dalla separazione dalla propria potenza. Per questo la gioia è nemica della paura ed è nemica del potere. Perché il potere e la paura – come hanno indicato in modi diversi Hobbes e Freud – costituiscono un binomio tanto infernale quanto inossidabile: il potere ha bisogno della paura e la paura ha bisogno del potere. Si tratta invece di aprire la vita al carattere illimitato della vita. Si tratta di sperimentare la gioia come una sovrabbondanza che non conserva, ma dona se stessa.
È questo l’arco inaudito che, secondo Isabella Guanzini, può congiungere Paolo di Tarso con il suo più acerrimo avversario, Nietzsche, il filosofo della morte di Dio, quando, per esempio, in Così parlò Zarathustra scrive che «dove manca l’anima che dona noi avvertiamo sempre la degenerazione». È questa la scoperta della gioia come slancio vitale, come impeto creativo che i bambini, prima dei filosofi, ci insegnano, capaci, come sono, di rendere davvero nuove tutte le cose. Non a caso è a loro e a coloro che gli assomigliano che Gesù intende riservare il suo Regno.
scritto da Massimo Recalcati, pubblicato nel blog dell'autore e in La Repubblica, Robinson, del 2 ottobre 2021
segnalato da Alessandro Bruni