di Alessandro Bruni.
La lotta alla pandemia è complessa e richiede interventi differenti dove è necessario esercitare il potenziale scientifico, il potenziale terapeutico clinico, il potenziale terapeutico territoriale, il potenziale vaccinale e quello farmacologico non vaccinale. A questi si devono aggiungere i potenziali normativi di attuazione delle attività terapeutiche abbinate a una capillare lotta di prevenzione con comportamenti sociali adeguati (distanziamento, isolamento, quarantene, mascherine).
Il disposto normativo del green pass si applica nel contesto sociale che è diviso ideologicamente tra persone favorevoli o persone contrarie a prescindere, ovvero su base pregiudiziale. Gli spostamenti tra le due posizioni avvengono per convincimenti o per obblighi volti a non solo a garantire i singoli, ma anche a garantire la maggioranza. La minoranza nel caso della pandemia si esprime in termini negazionisti (no vax, no green pass) con rari sostegni scientifici e rare considerazioni sociologiche. In genere o sono pregni di stati d'animo, o sono pregni di dati a sostegno della propria teoria. Sulla prima non mi esprimo essendo aspetti più legati alla persona, sugli altri oppongo un ragionevole dubbio di validità anche quando sono (raramente) di fonte scientifica, ma pur sempre parziali. La ragione di questo è legata alla struttura metodologica scientifica nella ricerca della verità che non si disvela medicalmente con la mela di Newton, ma come metanalisi di molti dati favorevoli e contrari per giungere alla vera efficacia di un presidio terapeutico anche dopo molti anni di studi.
La pandemia non è un raffreddore, ma una patologia complessa che esige una risposta di emergenza per salvare più vite possibile. È ancora un presidio acerbo? Può esserlo, ma attualmente è quello che ha le maggiori probabilità di successo in una applicazione di massa. Il green pass è quello che è, un sistema per cercare di arrivare ad un numero sempre più alto di vaccinati per il bene della loro salute e quella degli altri. L'opposizione attuale al green pass fa parallelo alla vecchia avversione all'uso della mascherina (perché la devo usare se comunque rimango ad una distanza superiore a un metro dall'altro?). L'eccellente idea di combattere la pandemia mediante la medicina territoriale esige la costruzione di un apparato ad hoc che ancora non abbiamo, sarà comunque una delle soluzioni adatte per la futura lotta pandemica e non solo per le malattie virali.
In questa congerie vi sono quelli che ideologicamente sono favorevoli ai disposti antipandemia del governo e quelli che non lo sono. Nella stragrande maggioranza entrambe le posizioni partono da un pregiudizio di base: riducibile a “ho paura e mi fido”, e in “ho paura e non mi fido”, due atteggiamenti chiaramente solo emotivi. All'interno di ogni gruppo vi è una maggioranza che non entra nelle ragioni specifiche medico-tecniche, ma sul sentito dire comunicativo dei media e da una minoranza che presume di poter entrare nel merito tecnico-scientifico e che si esprime con determinazione o a favore o a negazione delle disposizioni governative in materia.
Abbiamo detto di essere in un momento difficile sul piano medico, normativo e sociale, con questioni di sostanza e di approccio che devono però essere metodologicamente separate per poi confluire in decisioni operative che devono riguardare tutti. Malgrado queste considerazioni di base, di fatto per natura italica, e per pressione dell'apparato comunicativo sempre tendente all'estremismo degli effetti, siamo piombati nel caos sociale. Cosa ci sta succedendo?
In metafora stiamo applicando alla pandemia i comportamenti sociali collettivi già presenti nel calcio, negli esiti processuali, nelle condanne già esecutive sui giornali prima del processo, ecc. Ma rimaniamo al calcio come metafora. Vogliamo che la nostra squadra vinca e per questo prendiamo un allenatore carismatico e competente (Draghi), il quale si appoggia ad uno staff tecnico che lo aiuta a trovare le strategie e le tattiche più utili sulla base dei giocatori che ha a disposizione e sulla base della tipologia delle squadre da affrontare (CTS). Fatto questo, formula le possibili formazioni sulla base delle competenze (i ministri operativi sulla pandemia). Appena comunica quanto ha programmato, suscita consenso e disapprovazione da parte dei tifosi dividendoli tra quelli che hanno fiducia (pur non avendo reali competenze) e quelli che non hanno fiducia (pur non avendo reali competenze). Quando le critiche raggiungono la protesta degli ultras? Quando la squadra perde (e poco interessa se gioca bene) e quando un giocatore leader si mette di traverso con l'allenatore minando il gioco di squadra (Salvini?). Arrivati a questo punto la squadra non solo non giocherà più bene, ma anche perderà partite a ripetizione. Campionato di calcio e lotta alla pandemia hanno bisogno di gioco di squadra, senza gioco di squadra, come dice Mancini, si possono vincere alcune partite, ma non il campionato.
Le singole ragioni negazioniste sul green pass di Andrea Gandini possono trovare alcune ragioni scientifiche che però, pur rimanendo minoranza, potrebbero essere profetiche. Ma questo non è il momento dei profeti è il momento di fare squadra abbassando i toni ed esercitando la prudenza. Si dirà, come dice Andrea Gandini, andiamo a leggere i dati perché questi non mentono, andiamo a leggere le normative di altri Stati che già hanno sperimentato o non hanno sperimentato. Appoggiare questo modus operandi senza avere una cognizione di competenze molto approfondite si finisce sempre per confondere le cose mescolando dati scientifici con esiti normativi, dati clinici di diversi contesti operativi, comportamenti sociali di differenti contesti etnici e culturali. Se non si è super esperti (quelli che stanno lavorando, non quelli che fanno passerella televisiva), se non si usano strumenti di analisi dei dati multifattoriali con algoritmi complessi, si finisce quasi sempre per fare di un'erba un fascio.
Il negazionismo pandemico ha preso socialmente una facile strada politica divenendo bandiera estremistica o di distinzione elettorale. Un segno di deterioramento non solo politico, ma di voler mettere in difficoltà chi deve governare pur di avere un futuro politico. Le proteste poi sono nella maggior parte di ricerca di negoziato, ovvero di ricerca di avere una fetta della torta a proprio vantaggio (cito Papa Francesco), e non di tipo dialettico per mettere a confronto le idee. Ho detto idee e non opinioni, perché le idee sono basate su ipotesi concrete che possono essere rese praticabili, mentre le opinioni sono espressioni che non hanno alcun supporto scientifico o metodologico operativo e servono solo ad un ragionamento culturale che in massima parte prescinde dall'operatività (è in sostanza quello che stiamo facendo Andrea Gandini ed io con questi due post).
Draghi, o comunque un capo di governo, sul green pass deve ascoltare e deve costruirsi le competenze per prendere le decisioni che però sono tutte a sua totale responsabilità. È quello che sta facendo tra mille difficoltà: ascolta e poi decide riducendo al minimo il negoziato che non può essere applicato all'atto normativo, ma alla costruzione del medesimo.
Concludendo, a mio avviso Andrea Gandini, come altri con la sua opinione, ragiona mescolando troppo tra loro dati scientifici, dati politici, dati sociali elevando risultati scientifici di minoranza a valore assoluto che solo il tempo e ulteriore lavoro scientifico dirimerà, ma che oggi sono solo confusivi sul piano mediatico e non aiutano il gioco di squadra di cui abbiamo bisogno sul piano sociale. Sono una deriva personalistica che può trovare convincimento quando si parla in privato (che è il primo livello di autoconvincimento), ma che suonano ad imprudenze solo caotrope quando esposte pubblicamente (vedi caso vicequestore Schilirò).
scritto da Alessandro Bruni