di Alessandro Bruni. Focus senilità Focus fine vita
Recentemente il problema del morire (non della morte) viene presentato nei media con grande frequenza, forse complice la proposta di referendum sull'eutanasia. L'impotenza di fronte a questo evento umano trova le persone impreparate, soprattutto quelle che la vita ha destinato ad essere caregiver familiari e per scelta decidono, fin tanto è nelle loro forze, di accompagnare i propri cari all'ultimo traguardo. Tema che in questo blog è stato affrontato più volte sul piano sociale, spero senza troppo manicheismo.
Lo studio condotto da Eurocarers e svolto in collaborazione con il Centro Ricerche Economico-Sociali per l’Invecchiamento dell’IRCCS INRCA (Istituto Nazionale di Ricovero e Cura per Anziani) di Ancona rileva che nell’ultimo anno le difficoltà dei caregiver informali e familiari sono aumentate per l’impatto della pandemia su vari aspetti della loro vita quotidiana. L’ISTAT (dati 2018) indica che più di 7 milioni sono le persone che in Italia si occupano dei propri familiari non più autonomi. In maggioranza sono persone che superano i 50 anni e uno su cinque è over 60. Le donne rappresentano l’80% dei caregiver.
Attualmente la legislazione italiana non riconosce la figura dei caregiver familiari o informali per cui il loro ruolo sociale pur svolgendo un lavoro di cura molto oneroso. Nella Legge di Bilancio 2021, attraverso un nuovo Fondo che stanzia 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021-2023, si è iniziato a rivalutare la loro importanza all'interno della società.
Come investire le risorse previste dal Pnrr per l’assistenza agli anziani non autosufficienti? La proposta di un piano nazionale di domiciliarità integrata, in vista di una riforma complessiva del settore. Un altro ambito che durante la pandemia ha palesato tutta la propria debolezza è quello della medicina di base. Le case di comunità previste dal Pnrr possono rappresentare una buona soluzione?
Il cammino sarà lungo e soprattutto, al di là delle condizioni socio-economiche e del burnout a cui i caregiver vanno incontro, rimane non risolta la domanda dell'anziano: perché sono ancora vivo? Perché non mi aiuti a morire? Come è evidente in passato queste domande erano rare, ci si affidava alla volontà divina e questa era per molti una consolazione. Ma oggi, il tramite religioso spesso non basta più a lenire dolore e trapasso a "miglior vita" per se stessi e per chi ci è accanto.
Nel film che segnalo, come del resto anche nei recenti "Amour" di Michael Haneke (Palma d'oro a Cannes nel 2019) e "Blackbird" di Roger Michell, amore e morte sono uniti in modo indissolubile. Sono film che cercano risposte, che non ci sono, anche se un epilogo narrativo c'è sempre. Si rimane sospesi con un "io cosa farei?" Quel che rimane è solo la solitudine del caregiver con il proprio caro in una condizione che approfondisce i sentimenti e dilania la ragione.
Tout s'est bien passé di François Ozon. Recensione di Marzia Gandolfi, tratta da Mymovies del 8 luglio 2021.
La vita di Emmanuèle Bernheim, scrittrice e sceneggiatrice francese, precipita con una telefonata. Il padre ha avuto un ictus e al suo risveglio chiede alla figlia di aiutarlo a morire. A sostenerla in quella missione impossibile ci sono Pascale, la sorella trascurata, e Serge, il compagno discreto. Debole e dipendente dalle sue ragazze, André è un uomo capriccioso ed egoista, incapace di comprendere il dolore che infligge alle figlie, mai amate come era necessario. Tra lucidità e terrore, Emmanuèle e Pascale navigano a vista nel dramma. Come rifiutare al proprio padre la sua ultima volontà? Ma come accettarla? Da bambina Emmanuèle ha sognato tante volte di 'uccidere suo padre, un genitore tossico e poco garbato, ma aiutarlo 'a farla finita' nella vita reale è un'altra cosa.
Tout s'est bien passé racconta il suo tragitto intimo, dal rifiuto iniziale all'accettazione, con un'intelligenza fedele al romanzo originale.
Alla precisione asciutta della storia autobiografica di Emmanuèle Bernheim, che si impone con la sua gravità, Ozon aggiunge esplosioni di umorismo, tutte a carico di André Dussollier. Il libro è di Emmanuèle Bernheim ma il film è decisamente di François Ozon. Sotto il racconto degli ultimi istanti dell'esistenza di un uomo, di un padre, Tout s'est bien passé è un'opera sulla narrazione e sulla scrittura, senza che nessuno scriva (o quasi) in campo, è un film di fantasmi, scritto proprio dal fantasma che abita ogni inquadratura.
Morta nel 2017, Emmanuèle Bernheim era complice di Olivier Assayas e compagna di Serge Toubiana, aveva scritto nove sceneggiature di cui tre per Ozon (Sotto la sabbia, Swimming Pool, Cinque per due). Dietro di lei ha lasciato un'opera sensibile, sospesa tra letteratura e cinema, marcando il paesaggio letterario francese.
Ozon rispetta la concisione della sua scrittura, lo spazio del silenzio e dei non detti, per rappresentare un fin di vita singolare. Certo, lo sono tutte le dipartite ma quella di André è definita da due frasi: "papà mi ha chiesto di aiutarlo a morire" ed "è andato tutto bene". Maestro nel trattamento delle norme sociali e delle disfunzioni familiari, Ozon affronta il tema del suicidio assistito con un cast sofisticato che interpreta il quotidiano concreto del paziente e dei suoi cari.
Per approfondire il tema aprire in questo blog la categoria "Anziani e società".