sintesi dell'intervista di Luca De Fiore a Emma Dowling, Istituto di sociologia, Università di Vienna
Se nel 2015 erano circa 2,1 miliardi gli abitanti del pianeta bisognosi di cure, nel 2030 ci si aspetta che saranno 2,3 miliardi. Parlare della crisi del prendersi cura significa guardare al gap esistente tra i bisogni di salute e le risorse disponibili per soddisfarli. “Man mano che la cura si trasforma sempre di più in qualcosa di simile a una merce – spiega Emma Dowling nel libro (2021) ‘The care crisis’ – l’accesso alla cura diventa progressivamente più dipendente da quanto puoi pagare”.
I cambiamenti che hanno trasformato il welfare in Europa e in Nordamerica hanno contribuito a render più difficile l’accesso alla cura per moltissimi cittadini. I tagli al welfare sono stati accompagnati da un intenso battage, volto a sottolineare l’importanza del coinvolgimento dei cittadini nella cura come determinante di indipendenza e autonomia individuale. Di fatto, l’empowerment del cittadino finisce col ridurre l’impatto di un sistema sociosanitario meno presente e col far gravare sulle spalle delle famiglie il peso della cura.
Farsi carico di chi ha bisogno è un lavoro invisibile, prevalentemente femminile, sottopagato o spesso gratuito: il tempo di lavoro non retribuito è 3,3 volte maggiore nelle donne rispetto agli uomini. È un lavoro che va a vantaggio di uno Stato che si rifugia nel welfare mix, quella composita offerta di servizi garantiti non più solo – o non tanto – dalle istituzioni, ma da persone – donne, conviene ripeterlo – e da volontari. È la tripla privatizzazione, sostiene Dowling.
Restituire valore al prendersi cura è la premessa per un processo di trasformazione. Significa investire di più nei servizi sociosanitari, riconoscere il valore della cura prestata e mettere al centro la donna. Significa recuperare il valore del “noi” come soggetto plurale che non si traduca nell’annullamento della conflittualità sociale, ma che sottolinei la necessità di una solidarietà inclusiva capace di trasformare l’esistente.
L’assistenza è fondamentale per la riproduzione della società ed è quindi uno dei suoi pilastri principali, parte della struttura fondamentale che la tiene unita. Senza di essa non potremmo vivere né tantomeno essere economicamente produttivi. Eppure, l’assistenza non può limitarsi alla semplice funzione di mantenimento della vita o di sostegno per la produttività economica.
Per esempio, c’è una differenza tra il lavare e il vestire una persona anziana perché questa continui a vivere e il gestire queste attività in modo attento, ovvero prendendosi il tempo necessario per dare alla persona le giuste attenzioni, affetto e cure. Quest’ultimo approccio rende la vita degna di essere vissuta, ma può anche avere l’effetto di prolungare la vita dell’assistito e dell’assistita. Per questa ragione, i risultati dell’assistenza non sono opzionali.
L’assistenza è un’attività orientata ad andare incontro ai bisogni emotivi e fisici degli altri (o a prendersi cura delle proprie necessità), ma fa anche parte di una particolare configurazione di relazioni sociali che sono influenzate dalla politica, dall’economia e dalla storia, tra cui linee di genere, di razza e di classe sociale.
La crisi assistenziale avviene quando le persone che necessitano di assistenza non riescono a riceverla in modo adeguato o tale da soddisfare le proprie esigenze e quando coloro che forniscono assistenza, ovvero tutte le persone che lavorano, sia in forma retribuita o meno, lo fanno in condizioni sempre più difficili. Per esempio, si considerino tutti i modi in cui il lavoro assistenziale è scaricato sulle realtà non salariate, aumentando la mole di lavoro informale di assistenza ricoperta da donne, partner, nonni o addirittura bambini nelle famiglie e nella comunità.
Gli operatori sociosanitari dovrebbero avere il tempo sufficiente per fare il loro lavoro in modo tale da includere le dimensioni affettive ed emotive dell’assistenza. Però non tutta l’assistenza è – o dovrebbe essere – completata da operatori specializzati; le persone dovrebbero avere il tempo sufficiente per assistersi a vicenda, indipendentemente dal proprio genere, ma questo vorrebbe dire prendere del tempo dal lavoro retribuito. In mutuo aiuto dovrebbe essere parte integrante di una politica che sfida gli attuali sistemi di soluzioni, tra cui le differenze che al momento si rimarcano tra chi sia considerato come assistito e chi no. In una società profondamente ineguale, in cui l’assistenza diventa sempre più un lusso per pochi, dobbiamo riflettere sulla redistribuzione delle risorse e su che tipo di istituzioni siano necessarie per creare una struttura assistenziale collettiva che ci renda meno dipendenti dalle vicissitudini dei mercati capitalistici del lavoro.
Non c’è nulla di sbagliato nella nozione stessa del prendersi cura di sé. È importante prendersi cura di sé stessi, in particolare in situazioni o lavori in cui s’investono molto tempo ed energie al servizio dei bisogni altrui. Inoltre, in un contesto di discriminazione di genere o razziale, o con altre forme di oppressione, dare priorità ai propri desideri e bisogni fa parte di un necessario processo di emancipazione. Prendersi cura di sé è un problema nel momento in cui diventa fine a sé stesso, sconnesso dalle condizioni strutturali che causano le lacune assistenziali originarie.
La pandemia ha reso visibili molte delle problematiche riguardanti la devalorizzazione dell’assistenza. Una delle preoccupazioni sui lavoratori essenziali riguarda il fatto che alcuni dei ruoli lavorativi più importanti non vengano valorizzati del tutto. Un altro aspetto emergente concerne invece il fatto che il peso delle responsabilità assistenziali continui a gravare sulle famiglie, in particolare sulle donne.
Gran parte del dibattito sulla questione si focalizza sulla domanda per un’assistenza di qualità maggiore e anche sulla valorizzazione del ruolo dello Stato e su maggiori fondi per le strutture pubbliche. Al contempo, molti invece desiderano un ritorno alla normalità. Eppure questa “normalità” non è mai stata una situazione sostenibile per tante persone. Se ci sarà un qualche tipo di cambiamento sulla scia della pandemia, questo richiederà uno sforzo politico concertato. Potrebbero riemergere misure governative improntate sull’austerità per via delle ramificazioni finanziarie della pandemia.
È fondamentale che la società renda disponibili maggiori risorse all’assistenza e redistribuisca la ricchezza con quest’obiettivo, anche attraverso le tasse. Rimane comunque sempre necessario modificare il modo in cui l’assistenza viene fornita e regolata, per esempio facendo in modo che l’allocazione delle risorse non diventi solo un’altra fonte di profitto.
scritto da Luca De Fiore, pubblicato in Forward, 2 novembre 2021
sintesi e rielaborazione di Alessandro Bruni
per leggere l'articolo completo aprire questo link