di Redazione di Territori educativi. Una conversazione con Antonio Vigilante, insegnante di filosofia e pedagogista.
- Il nostro sistema formativo, come noto da tempo, funziona bene con chi viene da famiglie con una tradizione culturale, funziona male o malissimo con chi non ha alle spalle genitori laureati o diplomati. In un recente articolo (La scuola aperta) hai indicato le due principali cause: da un lato un metodo di insegnamento centrato ancora sulla lezione e sul libro, anestetico, trasmissivo, “verticale”, dall’altro la distanza tra la scuola e le fasce più povere della popolazione. Perché e come quella lontananza potrebbe essere superata da un incontro nuovo tra scuola e territorio?
Ho cercato di mettere in evidenzia il problema della distanza culturale che è dietro l’insuccesso scolastico. Le opportunità di riuscita di uno studente sono strettamente legate alla continuità tra la sua cultura di provenienza – la lingua, i valori, gli stili di vita della sua famiglia – e quella scolastica. Se c’è discontinuità (e in alcuni contesti sociali questa discontinuità è molto forte), si crea nello studente un conflitto difficile da affrontare: quanto più accetterà la cultura scolastica, tanto più si allontanerà, di fatto, dalla sua famiglia. Il tema è quello del riconoscimento. Come qualsiasi essere umano, lo studente si presenta a scuola con una richiesta di riconoscimento; chiede tacitamente di essere guardato, riguardato, rispettato. Accettato com’è. La scuola invece gli dice, tacitamente o apertamente, che no, com’è non va bene. Deve essere altro. E il giudizio su di lui è anche un giudizio sulle persone che ama, sulla sua famiglia, sul suo mondo.
scritto da Redazione, pubblicato in Territori educativi del 11 novembre 2021
segnalato da Giovanni Realdi