di Enzo Bianchi. Monaco e saggista fondatore della Comunità di Bose. Focus senilità
Alcune volte, accanto al letto di un malato terminale o accanto a una persona devastata dalla sofferenza, fisica e psichica, ho ascoltato questa invocazione: «Io amo la vita, non ho mai desiderato morire perché vivo l’amore e ricevo amore. Ma il dolore, è troppo forte, non ce la faccio più a vivere così!». E quando a queste parole si aggiunge la richiesta: «Aiutatemi a morire! Fatemi morire!», allora il turbamento mi invade. Come cristiano, non ho certezze ma ho delle convinzioni che mi vengono dalla fede nelle parole di Gesù. Sono convinto che la vita è un dono di Dio, che sono nato non per caso ma perché nel suo amore e nella sua libertà Dio mi ha voluto e pensato come tutti gli altri esseri umani. E se la vita è un suo dono, sono convinto che a lui devo ridarla, affidarla puntualmente venuta l’ora della mia morte, perché la vita umana è una vita a termine. Ho sempre cercato di introiettare il senso del limite che mi porta a riconoscere la mia precarietà e mi libera da ogni sentimento di onnipotenza sulla vita e sulla morte. Per questo spero di poter vivere la mia propria morte dicendo un “Amen” nella pace, ma confesso anche la paura per la possibilità di una morte tra sofferenze fisiche e psicologiche.
Di fronte alle situazioni che oggi riguardano molti altri, situazioni nelle quali il fine vita può conoscere accanimenti terapeutici, cure palliative o azioni di eutanasia, il mio primo sentimento è quello di una grande compassione che non mi permette di giudicare, ma mi induce a rispettare le scelte operate dalla coscienza del malato e di quelli che il malato ha voluto coinvolgere nella sua decisione.
Non solo provo rispetto, ma vorrei anche offrire l’accompagnamento con gli strumenti umani e cristiani che ho e che il malato richiede e accetta. Ogni esistenza è diversa e non possiamo in astratto indicare soluzioni. L’eutanasia, intesa in senso stretto come il procurare la morte a una persona che la richiede, è un’azione contro la vita perché il diritto ad esistere è il diritto fondamentale della persona, fondamento di tutti gli altri diritti.
Tra cure palliative assolutamente necessarie (per ora però ancora poco diffuse in Italia) e che possono avere come effetto secondario l’accelerazione della morte, e l’eutanasia come astensione dalle cure e, a volte, dalla nutrizione c’è una zona grigia non leggibile in modo manicheo. Ognuno ha il diritto di essere riconosciuto come soggetto della propria vita, fino alla fine. Ognuno è una persona con relazioni, affetti, non è soltanto una vita determinata da parametri biologici. E la qualità della vita non è riducibile alla quantità dei giorni!
Cristiani e non cristiani siamo fratelli e sorelle soprattutto in questo esito della nostra vita, la morte, che dobbiamo vivere il più possibile nella pace e nella relazione con chi amiamo, non sfigurati dalla malattia. Non contrapponiamoci sempre con toni perentori che non lasciano posto all’ascolto, alla riflessione, alla pietà. Lo sappiamo: tutti noi vogliamo vivere, ma anche vivere la propria morte.
scritto da Enzo Bianchi, pubblicato in Alzogliocchialcielo del 29 novembre 2021
segnalato da Alessandro Bruni
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