di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
L’elezione del Presidente della Repubblica nel nostro sistema politico ha sempre rappresentato, per la finalità e la qualità della decisione, un esame sulla qualità della nostra democrazia. Si tratta infatti della scelta della massima autorità istituzionale che rappresenta l’unità del Paese e ne garantisce la democraticità nello spirito e nella lettera della Costituzione. Quindi una opzione direttamente finalizzata al futuro del Paese, oltre gli interessi immediati di partito.
Nel sistema politico di oggi, caratterizzato da una larga presenza di partiti populisti, con peso diverso in entrambe le coalizioni, questo esame assume un particolare valore per verificare la capacità di scegliere un presidente di alto profilo, e di far crescere un rapporto di reciproca legittimazione, come garanzia della democrazia parlamentare.
Alla luce delle trattative fallite, nel corso della settimana appena trascorsa, dobbiamo amaramente constatare che l’obiettivo non è stato raggiunto e il nostro sistema parlamentare è entrato in grave crisi. Una vera e propria rivolta silenziosa del Parlamento, contro i leader politici inconcludenti, ha determinato, nelle diverse votazioni, un crescente flusso di voti a favore del presidente Mattarella che, alla fine, è diventato decisivo per la sua riconferma.
In questo anomalo negoziato le forze politiche di identità populista hanno svolto un ruolo determinante il suo esito negativo. Dalla insostenibile candidatura di Berlusconi, proposta soltanto come prezzo fatto pagare agli italiani per mantenere in piedi un centrodestra senza unità che non fosse di potere, alla scelta errata di perseguire l’elezione di un presidente di centrodestra. Dal tentativo di spallata unilaterale per eleggere la presidente del Senato Casellati, miseramente bocciata dal voto, alla successiva ipotesi di operare per un presidente donna (Belloni), senza aver alcun reale affidamento in merito.
Questa successione di forzature, errori, falsi affidamenti, con il corollario di bruciatura delle candidature di prestigiosi servitori dello Stato, senza mai riuscire a raggiungere un'intesa, sono state il frutto della persistente iniziativa di Salvini, sulla base della presunta maggioranza relativa del centrodestra, talvolta con la convergenza di Conte e di parte del M5S, che ha determinato una situazione complessiva di caos senza prospettive. E’ stato in questo momento, anche sulla spinta del crescente consenso a Mattarella espresso nelle diverse votazioni, che i leader dei partiti della maggioranza di governo hanno deciso di recarsi al Quirinale per chiedere al Presidente in carica di accettare un nuovo mandato.
Va tenuto presente che lo stesso premier Draghi ha incontrato Mattarella per sollecitare una sua disponibilità al fine di consentire la regolare prosecuzione dell’esperienza di governo da lui voluta. Sulla base del consenso ottenuto, la successiva ottava votazione ha formalmente eletto Mattarella per il secondo mandato con 759 voti. Da questa vicenda il sistema dei partiti esce duramente sconfitto nel primo appuntamento politico impegnativo dopo il quasi commissariamento in occasione della scelta di Draghi. Una crisi di sistema che può mettere in pericolo non solo la stabilità del Parlamento ma la stessa qualità della nostra democrazia. In particolare, esce sconfitto e spaccato il centrodestra.
Dal punto di vista dell’omogeneità politica, questa coalizione non esiste più, ma l’esperienza ci dice che il collante del potere può fare miracoli in termini di sopravvivenza. La sconfitta riguarda più direttamente la leadership di Salvini, e il suo tentativo di tradurlo in termini di propaganda appare sempre meno credibile. Fratelli d’Italia che pur dall’opposizione ha posto alcuni vincoli determinanti alle scelte dei candidati, ha rifiutato di votare Mattarella e ha deciso di rimanere all’opposizione cercando di continuare a lucrare la relativa rendita, mentre Forza Italia manifesta una divisione profonda che mette in discussione il suo futuro. Il Pd è stato l’unico partito rimasto fermo sulla propria proposta di un incontro conclusivo tra i leader delle due coalizioni per costruire un’intesa conclusiva, ma la sua iniziativa è stata ripetutamente rallentata dalle incertezze e contraddizioni dell’alleato M5S, spesso sensibile a un revival dell’alleanza con la Lega, nel segno del governo Conte 1.
In futuro, per i partiti non si tratta soltanto di gestire la campagna elettorale ma di ridefinire la propria identità, linea politica e alleanze, compresa la riforma della legge elettorale in senso proporzionale. Lo stesso governo Draghi esce politicamente ridimensionato dalla vicenda, sia per essere stato il premier troppo coinvolto, talvolta strumentalmente, come possibile candidato al Colle, proiettando elementi di incertezza sul futuro del governo, sia per le ulteriori divaricazioni nella maggioranza.
Da tutta questa vicenda esce invece rafforzato il Quirinale che ora risulta legittimato ad un ruolo di maggiore stimolo e di controllo degli altri poteri dello Stato. In ogni caso, si apre una nuova fase della politica italiana, caratterizzata da un ripensamento del ruolo dei partiti, delle loro leadership e delle loro alleanze, alla luce dei problemi del Paese che saranno sempre più complessi e metteranno seriamente alla prova una classe dirigente che sarà costretta a rinnovarsi. La speranza rimane che il populismo, con i numerosi danni che ha provocato, ritorni a essere una realtà marginale nel nostro sistema politico.
scritto da Luigi Viviani