di Rebecca Shankland.
Ciascuno di noi ha bisogno degli altri per crescere sano e vivere felice. Prendere coscienza dell'importanza dei legami sociali ci aiuta a vivere meno stressati, più sereni e più autonomi. Decenni di ricerca di psicologia sociale lo confermano: abbiamo bisogno gli uni degli altri e legami sociali solidi determinano molti benefici sulla salute fisica e mentale, e accettare questa interdipendenza non fa che renderla più positiva.
Lo prova è che in buona compagnia viviamo più a lungo. Questo ruolo protettore si verifica a ogni età della vita. Infatti le relazioni di qualità si traducono in uno stato psicologico migliore riducendo lo stress e il sentirsi depressi o ansiosi. Il legame sociale rafforza il senso della vita e il sentimento di soddisfazione generale. La prossimità relazionale permette una migliore regolazione delle emozioni, e dunque una riduzione degli effetti dello stress, il miglioramento dell'autocontrollo.
Il funzionamento delle reti cerebrali di controllo degli impulsi è meno efficace nelle persone che si sentono sole che sono più vulnerabili alle dipendenze. Il legame sociale modula il nostro vissuto quotidiano, soprattutto nelle difficoltà. Di fronte a situazioni difficili chi ci è vicino ci aiuta a mobilitare le nostre risorse e finiamo così per dare maggiore credito a noi stessi. Il sapere di poter contare sugli altri in caso di bisogno ci permette di affrontare una situazione difficile con una prospettiva diversa, come una sfida da superare e non come una cadere nella rassegnazione. Il saper di poter contare sugli altri permette di poterli ascoltare, di poter valutare la situazione con differenti angolature e alla fine permette di poter agire scegliendo autonomamente ciò che ci sembra giusto fare.
Il poter contare su persone di riferimento non significa esserne dipendenti ma stimolare la propria autonomia di giudizio e di azione. Il contatto fisico e sociale riduce lo stress legato al dolore di incapacità personale, grazie ad un effetto psicologico di sincronizzazione che moltiplica l'atteggiamento proattivo positivo. Le persone di riferimento di famiglia o amicali hanno un effetto catalizzatore moltiplicando l'impatto favorevole sul nostro stato emotivo.
Questo meccanismo di sequenza positiva è noto nella ricerca psicologica sociale avendo osservato che si attiva una attività superiore nelle aree del cervello implicate nel circuito delle ricompensa, ossia quelle legate al piacere (strato ventrale e corteccia orbitofrontale mediale).
Dunque la relazione con le persone di riferimento determina una interdipendenza e non di aiuto a senso unico: tutti beneficiano di queste esperienze condivise poiché innescano un circuito virtuoso favorevole al benessere durevole innestando emozioni gradevoli di autonomia e comportamenti altruistici che a loro volta determinano maggiore consapevolezza di essere parte della interdipendenza favorevole del proprio autocontrollo.
Esistono però anche situazioni in cui la ricerca di relazione interdipendente non si sviluppa in modo equilibrato dando luogo non ad armonie ma a asimmetrie. Capita ad esempio quando una persona si aspetta che il partner colmi tutti i bisogni. Questo determina una situazione via via di totale dipendenza del primo partner che spingono l'altro partner all'allontanamento non ricevendo per se alcuna contropartita, ovvero viene meno interdipendenza. Questa situazione ha la tendenza ad aggravarsi in quanto chi è dipendente tende a legarsi ancor più morbosamente e chi è insoddisfatto tende ad allontanarsi.
Tuttavia se l'eccesso di dipendenza è nocivo, il suo evitamento lo è altrettanto. Un esempio di questa situazione nasce quando si ha paura di essere giudicati dagli altri e pertanto si reagisce evitando queste situazioni sociali con un restringimento delle nostre attività e dei nostri piaceri, riducendo il senso di benessere. Più si evitano le situazioni ansiogene, più si rafforza l'angoscia, e ciò rende sempre più difficile l'andare verso gli altri. A poco a poco ci si chiude in una solitudine nociva.
Il buon atteggiamento è al centro tra questi due estremi, e ha a che fare con l'accettazione della nostra interdipendenza, che è anche una modalità relazionale da coltivare. Perché sia costruttiva occorre trovare un equilibrio tra fiducia accordata all'altro e quella che si ha nelle proprie competenze, e tra i tempi di vicinanza e quelli che si sviluppano in autonomia. Si devono coltivare alcune caratteristiche essenziali: l'ascolto, l'empatia, la sincronizzazione, senza essere giudicanti e con una comunicazione da pari a pari. Solo allora, scambiando emozioni e opinioni, si potrà formulare un progetto personale autonomo.
Concludendo, se si trova l'equilibrio, se si accetta l'interdipendenza come una condizione normale dell'essere umano, allora essa non nuoce all'autonomia ma al contrario la favorisce, nel bambino com e per l'adulto. Anche nelle relazioni di coppia, gli studi mostrano che più si accetta la dipendenza dell'altro (cioè ci si mostra di sostegno quando esprime difficoltà) meno avrà la tendenza a chiedere aiuto quando è capace di agire da sé. I risultati di rendenti ricerche ci incoraggiano a sviluppare una società in cui l'interdipendenza sia percepita come una possibilità, e non come una fardello. E' un esercizio che si può applicare anche nel quotidiano: prendere regolarmente coscienza delle nostre dipendenze e gioirne anziché combatterle o permette di sentirsi pienamente umani felici e solidali. Accettare il fatto che in certi momenti abbiamo tutti bisogno di essere aiutati induce paradossalmente a un rafforzamento dell'autonomia.
sintesi ed elaborazione personale di Alessandro Bruni dell'articolo La felicità è nei legami di Rebecca Shankland, pubblicato in Mind di gennaio 2022