di Daniele Lugli. La nonviolenza ieri e oggi.
Una buona notizia dall’ANSA del 18 marzo: Italia è ospite d'onore della 25^ Fiera Internazionale del Libro di Algeri, dal 24 marzo al 1° aprile 2022, uno degli eventi più importanti nel mondo arabo e in Africa. Il 18 marzo 2022 è il 60° della pace di Evian, che ha posto termine a una guerra durata 8 anni. Bene che le culture si intreccino e riflettano in Algeria e sull’Algeria, sulla sua storia sul suo presente. Ho provato a scriverne qualche tempo fa Aveva ragione Camus 7 gennaio 2019 https://www.azionenonviolenta.it/aveva-ragione-camus/ C’è un film di una coppia franco-algerina, Ferhat Mouhali e Carole Filiu-Mouhali, "Ne nous racontez plus d'histoires!". Mette in discussione quanto, a partire dagli autori, francesi e algerini hanno ricevuto nella loro infanzia e nella loro crescita, attraverso testimoni, visite a luoghi e nuovi sguardi per una diversa consapevolezza. Varrà la pena vederlo. È giornalista, figlia di un pied noir lei, attivista per i diritti umani lui.
Brevi sequenze mi sollecitano https://vimeo.com/ondemand/nnrph
La guerra d’Algeria accompagna la mia adolescenza e gioventù, dal ginnasio all’iscrizione all’ultimo anno di università, dal 1954 al 1962. Ho una particolare attenzione per la politica della Francia, frutto credo di un amore, scarsamente ricambiato, per la lingua e dal considerare che la sola rivoluzione sia stata quella del 1789. Così mi interessa quello che avviene tra Francia e Algeria. Mi documento su una lunga storia, sulla trasformazione da colonia a provincia. Spero in una soluzione nuova rispetto al puro abbandono delle colonie (Indocina e poi Marocco e Tunisia). Ho, ricordo, molta stima in Mendès-France. Nell’anno della mia prima liceo, ’56-’57, c’è la battaglia di Algeri e una violentissima repressione. Un film di Pontecorvo la ricorda.
La soluzione politica viene invece da un generale, e che generale! Charles de Gaulle, molto voluto dai francesi d’Algeria come garante dell’integrità della Repubblica. Avvia invece un processo che porta agli accordi di Evian e alla proclamazione dell’Indipendenza dell’Algeria nel luglio del 1962. De Gaulle sventa un colpo di stato militare e dissolve l’OAS (Organisation armée secrète). A Ferrara appaiono scritte inneggianti all’OAS e contro il generale "Degualle". Scrivo un piccolo corsivo che l’Avanti! pubblica in prima pagina, di spalla. Mi viene perfino chiesto se voglio lavorare stabilmente al giornale. Me lo chiedono una volta sola e, come sempre, rispondo no. Perché risponda sì, ho notato, bisogna che la richiesta sia ripetuta tre volte.
Sul mio tesserino universitario ho un adesivo che attesta un mio contributo (piccolo certamente) al Fronte di Liberazione Nazionale algerino. Se c’è una guerra giusta è questa. È la sola soluzione. Proprio quell’anno l’incontro, a settembre, con Aldo Capitini, mi porta a una riflessione sulla violenza, la guerra, il terrorismo, che, con capacità decrescenti, prosegue ancora. A sessanta anni da quel conflitto il pensiero va a chi ne è stato vittima: 300 – 4000mila i morti algerini, trentamila i francesi, soldati e civili, decine di migliaia gli algerini combattenti nelle formazioni a lato dell’esercito francese. A chi ne è stato vittima e chi ne è ancora. I nazionalisti algerini hanno allora festeggiato la liberazione. Ora vecchi e giovani si confrontano con un regime di incerta democrazia e scarso rispetto dei diritti. Un movimento dal basso, Hirak, che tre anni fa destò molte speranze appare in difficoltà e represso duramente. Centinaia di critici e oppositori sono incarcerati, anche se è presente libertà di stampa e pluralità di voci. La speranza è nelle giovani generazioni, nel loro contatto con i coetanei di altri paesi, nella loro apertura a una società diversa rispetto a quella in cui tocca vivere, lontana da quella sognata e per la quale si è combattuto così duramente. https://confronti.net/2022/02/algeria-tra-detenuti-dopinione-e-la-fine-dellhirak/ Il film ricordato della coppia franco-algerina può aiutarli almeno a liberarsi dalla retorica militarista e nazionalista dominante.
Tutt’altra atmosfera ha accolto l’annuncio dell’Algeria algerina tra Pieds noirs e harkis. Impossibile per me tradurre Piedi neri, nobile tribù o federazione di tribù tra Canada e USA. Un film Il grande cielo, che rivedo volentieri, senza gli scrupoli che accompagnano la visione de La battaglia di Algeri, mi ha permesso, ragazzo, la conoscenza di Piedi neri notevoli, come Pelleossa e, soprattutto, la bellissima Occhio d’anitra. Al cinema, sul grande schermo è un’altra cosa, ma comunque su Rai play è visibile. Quanto agli harkis sono i combattenti algerini dell’harka, formazione che affianca l’esercito francese. Lealisti dunque per i francesi, collaborazionisti traditori per gli algerini del Fronte. Non c’è accordo neppure sulla data da considerare come fine della guerra. Non certo il 18 marzo.
Troppe ne sono successe dopo quella data, ad esempio, la battaglia di Bab El Oued, quartiere europeo di Algeri il 23 marzo, la strage di rue d'Isly il 26 marzo, l’assassino dei francesi a Orano il 5 luglio, data scelta dal governo provvisorio algerino, non per questa ragione, come giorno dell’Indipendenza, due giorni dopo la proclamazione di De Gaulle dell’Algeria indipendente. Il primo riguarda l’assalto dell’OAS, con il sostegno di abitanti del quartiere, contrari all’indipendenza algerina, nei confronti di soldati di leva francesi, il secondo la sparatoria principalmente di harkis, in funzione di polizia, nei confronti di manifestanti francesi solidali con OAS e gli abitanti di Bab El Oued, il terzo il massacro di un numero imprecisato, ma grande, di civili francesi, che non avevano abbandonato la città, da parte di forze del FLN. Vero che per tutto maggio l’azione dell’OAS ad Orano aveva provocato vittime ogni giorno di 10, 15 persone e, nell’operazione terra bruciata, fatto saltare in aria il municipio, la biblioteca comunale e quattro scuole
Possiamo aggiungere il massacro degli harkis e dei sospetti collaborazionisti per tutta l’estate, Di censirli, quantificarli ben poco ci si è occupati, Ora mi sembra che una riflessione sugli harkis, sui loro discendenti, sul loro trattamento, sull’opinione che li accompagna, in Algeria e in Francia, potrebbe darci un’idea del lavoro complesso che resta da fare. Uno stimolo in questa direzione si può trovare qui https://ilmanifesto.it/tra-i-fantasmi-degli-harki-una-tragedia-algerina/
La memoria di quella guerra, del dolore che l’accompagna non dovrebbe rinnovare rivendicazioni e rancori, costituire piuttosto elemento di un legame diverso e migliore di quello che si è sanguinosamente strappato dopo un ultrasecolare dominio coloniale. Una cosa buona per i rapporti tra Francia ed Algeria, e un viatico anche per una realtà di pace e democrazia euromediterranea, alla quale Alex Langer incita.