di Gianni Tognoni. Segretario generale del Tribunale permanente dei popoli. Pubblicato in Altreconomia del 23 marzo 2022.
Da una parte un giornalista che ha letteralmente cambiato la storia della trasparenza informativa, proprio nel momento in cui questo settore diventava “globalmente” critico per gli equilibri mondiali e nello stesso tempo protagonista dei mercati più sensibili e strategici direttamente coinvolti nel multiverso dei big-data. A suo carico, al di là di tante chiacchiere, un’accusa che sembra uscita dalle favole: la violazione di una normativa sullo spionaggio emanata letteralmente in un altro secolo, in un altro mondo, che deve a tutti i costi essere giudicata nel sistema notoriamente e programmaticamente più sfavorevole all’“imputato”.
Tutti i dati e le iniziative prese per evitare (o gestire) una vicenda assurda sembrano essere stati inutili. Le interpretazioni del diritto in un Paese “culla” della civiltà, sociale e giuridica, non sembrano scalfire i “diritti” di un’alleanza (arrogante e già responsabile di menzogne criminali che hanno portato a guerre e genocidi) con un altro Paese “democratico” che primeggia per la sua capacità di esercitare il potere penale con gradi incomparabili di arbitrarietà (da Guantanamo a Peltier, al sistema carcerario). La cronaca trova per questo “fatto personale” spazi minimi: coerenti con la percezione-decisione della sostanziale irrilevanza complessiva del “caso” che non fa parte delle priorità dei custodi dottrinali e politici dei Paesi che contano.
segnalato da Alessandro Bruni