di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
I recenti sviluppi della guerra di aggressione russa all’Ucraina, stanno dimostrando che la prevista facile vittoria di Putin non si è verificata, e che, grazie all’eroismo della resistenza ucraina, le sorti del conflitto e la sua durata appaiono problematiche e incerte. Tuttavia, tra le conseguenze che questa prima nuova guerra europea dal 1945, risulta evidente l’acutizzarsi della crisi del processo di globalizzazione economica sul quale, dopo la fine dell’Urss nel 1989, si erano create tante speranze fino a ipotizzare la “fine della storia”.
I fatti che spiegano tale processo sono sintetizzabili nel ricompattarsi del quadro geopolitico attorno a due blocchi, quello asiatico e quello occidentale, e l’accendersi, nel sistema economico globale già provato dalla pandemia e dall’inflazione, di una ulteriore conflittualità di cui la stagflazione (inflazione più stagnazione) e le sanzioni occidentali alla Russia sono le manifestazioni più evidenti. L’insieme di tali interventi colpiscono direttamente le possibilità di crescita per cui ai danni incalcolabili di questa guerra sull’insieme dell’umanità si aggiunge pressoché il blocco della ripresa post-pandemica e fosche previsioni sul futuro comune. In sintesi, un quadro alternativo al processo di globalizzazione dei rapporti economici, provocato dal sovrapporsi violento delle decisioni e dei conflitti politici alla normale vita economica.
Per capire il senso del cambiamento che si sta determinando, va precisato che la novità dell’unità europea di fronte alla guerra risulta strettamente connessa all’unità atlantica con gli Usa, fortemente rinsaldata dopo i tre vertici con la presenza di Biden (Nato. G7, Ue) per cui, su questa base, si è ricostruito un blocco occidentale in funzione antirussa e, più in generale, alternativo a quello asiatico. Sull’altra sponda la Russia non ha ricevuto un aiuto militare diretto dalla Cina ma un chiaro sostegno nelle decisioni degli organismi internazionali (Onu) a cui va aggiunta l’India che, pur con il suo neutralismo, ha assunto una analoga posizione.
Per effetto della guerra si sta cioè consolidando una sorta di polo asiatico in funzione potenzialmente antioccidentale, con il concreto pericolo di ritornare a una condizione geopolitica segnata da una nuova guerra fredda, nella quale anche l’Europa viene assorbita. L’ipotesi di un ruolo di quest’ultima come potenziale terzo polo, in funzione di mediazione positiva tra i due poli maggiori, all’interno di un nuovo ordine mondiale, appartiene perciò all’ordine delle possibilità future, tutte da verificare e sperimentare.
Nel frattempo, l’Ue deve affrontare i suoi problemi urgenti che in diversi modi risultano collegati al conflitto e alle sue sorti. Dalla cessione delle armi all’Ucraina alla ulteriore intensificazione delle sanzioni alla Russia, dalla riduzione della dipendenza energetica all’avvio del piano di difesa europea, all’impegno nell’assistenza ai profughi. Per cercare di contrastare tale radicalizzazione provocata dal conflitto, la priorità diventa sempre più una gestione urgente della fine dei combattimenti e la costruzione della pace.
Sul campo di battaglia, di fronte alla resistenza ucraina, appaiono più evidenti i limiti strategici e di risorse della Russia, per cui solo l'insensata rigidità di Putin impedisce una trattativa che consenta di raggiungere un’intesa. Le questioni da risolvere rimangono: il contenuto della neutralità dell’Ucraina, la configurazione futura da dare a Crimea e Donbass, ora considerate dai russi come il vero contenzioso della guerra, il futuro di Odessa e dell’accesso al Mar Nero, le modalità delle garanzie internazionali sull’applicazione delle intese.
Per superare le inconcludenti trattative avviate finora, è necessario creare le condizioni per realizzare un confronto conclusivo, avendo presente la pluralità degli interessi in gioco. Sul piano economico gli ostacoli frapposti alla globalizzazione dei mercati sia per gli effetti della guerra che delle sanzioni, sono destinati a produrre pesanti effetti negativi protratti nel tempo. Per questo alcuni politici e altri, sono arrivati a parlare di post-globalizzazione, come se quel processo fosse arrivato più o meno al termine. In realtà, dietro la spinta inarrestabile della tecnologia la globalizzazione prosegue il suo cammino, condizionata in vario modo dalle scelte e dalle decisioni della politica che spesso smarrisce le ragioni di fondo del benessere collettivo, legato a un destino comune.
La guerra rappresenta il massimo del condizionamento negativo, e, non a caso, distrugge gran parte di quanto si era costruito in precedenza. Uscire dal buco profondo nel quale siamo precipitati richiede anche lo sforzo di una ripresa di rapporti economici e politici ispirati al dialogo e alla cooperazione internazionale per riattivare tutti i canali possibili nell’interesse comune.
La globalizzazione potrà proseguire secondo modalità che saranno segnate dalla qualità della politica internazionale, la quale dovrà uscire dalle illusorie scorciatoie ideologiche per affrontare con coraggio i colossali problemi delle disuguaglianze tra e dentro gli Stati, e a rinnovare le istituzioni internazionali per metterle in grado di regolare i nascenti conflitti, in modo da bandire dal nostro futuro il disastro e l’orrore della guerra.