di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
La Corte costituzionale ha reso note le motivazioni della sentenza di bocciatura del referendum sul cosiddetto, suicidio assistito. La sintesi di tali motivazioni, come appare nel testo diffuso recita “è inammissibile perché priva la vita della tutela minima prevista dalla Costituzione”.
Nonostante diverse critiche, soprattutto da parte dei promotori del referendum, circa il carattere di segno politico della decisione, che sarebbe aggravata dalla conferenza stampa del nuovo presidente Amato, la Consulta, a mio avviso, ha svolto con imparzialità e rigore il suo compito di fedele interprete della Costituzione e dei suoi principi.
Il quesito, mirante formalmente ad abrogare parte dell’art. 579 del codice penale, pur proponendo di depenalizzare la partecipazione a procurare la morte in alcuni casi limite, caratterizzati da quattro condizioni già indicate dalla stessa Corte nel 2019 in occasione del caso Dj Fabo, è stato presentato e discusso come un referendum sull’eutanasia, cioè sul rendere lecito l’omicidio del consenziente “a prescindere dai motivi per i quali il consenso è prestato, dalle forme in cui è espresso, dalla qualità dell’autore del fatto, e dai modi con cui la morte è provocata”.
Essendo la natura del referendum rigorosamente abrogativa, non poteva essere interpretato come favorevole all’eutanasia, sulla quale non esiste una legge. Inoltre, l’introduzione del principio generale per cui la disponibilità della propria vita diventa un diritto soggettivo dell’individuo, rende concreto il rischio di dar vita a una società senza speranza, che certamente non coincide con lo spirito r la lettera della nostra Costituzione.
Ora il problema torna al Parlamento, chiamato a uscire dalle contrapposizioni di segno ideologico, che finora hanno impedito di fare significativi passi in avanti. Va sottolineato che l’approvazione di una legge che regoli la materia è sollecitata anche dal fatto che la cresciuta capacità terapeutica della medicina, che permette interventi sempre più sofisticati sul corpo umano, talvolta porta a prolungare i trattamenti oltre le esigenze della stessa persona. La recente approvazione da parte della commissione giustizia della Camera, di un testo unificato dei precedenti disegni di legge presentati, può essere l’occasione per approvare una legge idonea a regolare i casi particolari previsti.
Nel testo approvato per l’Aula, la commissione ha scelto una struttura del provvedimento che, in buona parte, fa riferimento alla legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza (aborto) che, alla luce di una sperimentazione di diversi anni, ha dimostrato la sua validità, tra l’altro consentendo la progressiva riduzione degli aborti.
Poiché il testo predisposto prevede ancora alcune incertezze e oscurità, i caratteri fondamentali di una positiva legge su questa materia dovrebbe fondarsi sui seguenti criteri. In premessa il provvedimento dovrebbe contenere un giudizio generale negativo sul suicidio, che non può diventare un diritto ma che diviene una necessità, consentita solo in alcuni casi limite, caratterizzati dalle condizioni di esistenza di una patologia irreversibile, che cagiona sofferenze fisiche e psicologiche, attestata da un medico specialista e che il soggetto, tenuto in vita da trattamenti sanitari di sostegno, giudica intollerabili.
La richiesta consapevole di morte volontaria va manifestata in forma scritta autenticata e presentata al medico previsto che verifica le condizioni del paziente, lo informa ulteriormente delle diverse cure palliative e, constatata la presenza dei presupposti che giustificano la richiesta, redige un rapporto documentato sulle condizioni cliniche del paziente e lo invia a un “Comitato per la valutazione clinica”, che esprime il parere entro un tempo prefissato. In caso di parere favorevole il medico richiedente lo trasmette alla direzione dell’Usl che deve verificare che il decesso, avvenga nel rispetto della dignità e qualità della vita. Il disegno di legge tutela anche l’obiezione di coscienza del personale sanitario che non intende prendere parte alle procedure per l’assistenza, e l'applicazione degli articoli del codice penale a tutto il personale che ha dato corso alla procedura di morte volontaria.
Ora il Parlamento ha a disposizione tutti gli elementi per arrivare, in tempi ragionevoli, a dare una risposta positiva ad un problema delicato che investe seri problemi etici come il valore fondamentale della vita. Il carattere della nostra società pluralista e secolarizzata può prevedere per le persone che si trovano in condizioni di fase finale della propria esistenza, senza prospettive di guarigione e in presenza di dolori insopportabili, una procedura eccezionale di uscita volontaria dalla vita, tuttavia sottoposta a rigorosa regolamentazione finalizzata a salvaguardare l’effettiva presenza delle suddette condizioni di salute e di sofferenza e il pieno rispetto della libertà consapevole con cui si opera tale scelta.
Questa possibilità di scelta diversa peraltro non dispensa i cristiani credenti dal rispetto integrale della vita umana. Come nel caso dell’aborto, il disegno di legge legittima e regolamenta l’obiezione di coscienza per chi non intende partecipare a questo aspetto del fine vita. Personalmente rimango convinto che nel tempo che stiamo vivendo la partecipazione diretta, a fatti eticamente complessi e discutibili, quando è fatta con la precisa volontà del rispetto dei valori nei quali si crede, per ricercare le vie d’uscita migliori per tutti, sia da preferire alla formale obiezione di coscienza che certo, salvaguardia l’intangibilità formale dei valori in cui si crede, ma impedisce una presenza in luoghi e fatti nei quali la testimonianza può diventare decisiva.