di Claudio Fontana. Pubblicato in Oasis del 8 aprile 2022.
Mentre gli occhi del mondo continuano a essere puntati sull’Ucraina, dove si continua a combattere, per la prima volta dal 2016, e dopo violenze che sono costate la vita di oltre 400.000 persone, in Yemen è entrata in vigore sabato scorso una tregua di due mesi. Grazie all’accordo, favorito dalle Nazioni Unite e annunciato nel secondo giorno di colloqui di pace a Riyad, le navi per il rifornimento energetico avranno il permesso di utilizzare il porto di al-Hudaydah e saranno parzialmente riaperti i voli dall’aeroporto di Sana’a, entrambi sotto il controllo dei ribelli houthi. Stando a quanto riportato dalla BBC, saranno anche riaperte le strade verso la città assediata di Taiz nella zona sudoccidentale del Paese.
I negoziati si sono svolti a Riyad senza la presenza degli houthi, che hanno ritenuto inappropriato svolgere i colloqui in «territorio nemico» e che dunque sono stati raggiunti in Oman dai rappresentanti dell’ONU. Come ha scritto Gerald M. Feierstein, vicepresidente del Middle East Institute, è cruciale comprendere cosa ha portato la parti belligeranti ad accettare questa tregua. Secondo il Centro per gli Studi strategici di Sana’a, interpellato da Le Monde, è lo stallo della situazione militare ad aver spinto le parti a trovare un primo accordo. Si tratterebbe di un aspetto particolarmente significativo per gli houthi, «che hanno sepolto le loro illusioni di vittoria» assoluta dopo le sconfitte nelle regioni di Marib e Shabwa. Tuttavia, c’è un’ipotesi «ugualmente credibile» secondo Feierstein e cioè che gli houthi vogliano utilizzare questi due mesi per riorganizzarsi e fare rifornimenti prima di riprendere l’iniziativa militare.
Nell’annunciare – il primo giorno di Ramadan – l’accordo, Hans Grundberg, inviato speciale dell’Onu per il conflitto in Yemen, ha affermato che lo scopo della tregua è anzitutto dare un po’ di sollievo agli yemeniti, e in secondo luogo far affiorare la «speranza che la conclusione del conflitto sia possibile». Il presidente Joe Biden ha definito «importanti» i risultati del processo negoziale, ma ha anche sottolineato quanto ancora resti da fare. Molti analisti, come ha scritto il New York Times, hanno avvertito che la tregua è soltanto «il primo passo in un lungo e complicato processo», e che rimangono molti ostacoli al raggiungimento della pace.
Uno di questi ostacoli potrebbe, forse, essere stato rimosso: nel corso di questa settimana infatti l’Arabia Saudita ha favorito l’uscita di scena di Abdrabbuh Mansour Hadi, presidente dello Yemen e figura particolarmente invisa agli houthi. Il potere è passato dalle mani di Hadi a quelle di un consiglio composto da 8 persone: quattro molto vicine agli Emirati Arabi, due al Congresso Generale del Popolo (partito di Hadi) e due del partito islamista Islah. A presiedere il consiglio sarà il generale Rashad al-Alimi, ex consigliere proprio di Hadi.
Secondo Gregory D. Johnsen si tratta di un tentativo di ricostruire un minimo di unità nel fronte anti-houthi, ma non è chiaro come i componenti del consiglio, che hanno visioni diametralmente opposte, possano lavorare insieme: come si comporteranno le figure legate agli Emirati Arabi e quelle legate alla Fratellanza musulmana? Quanto inciderà la presenza nel consiglio di figure del Consiglio di Transizione del Sud (STC) che mira all’indipendenza della zona meridionale del Paese? Nonostante gli interrogativi siano molti Peter Salisbury, analista dell’International Crisis Group, ha definito l’accordo «a Big Deal».
Anche in caso di soluzione del conflitto, rimangono enormi rischi per il Paese: secondo Farea Al-Muslimi del Centro per gli Studi strategici di Sana’a l’impatto della guerra in Ucraina si farà sentire in Yemen: «la questione alimentare e, soprattutto, quella dell’approvvigionamento di grano, diventerà via via più problematica». Per il reperimento dei beni alimentari lo Yemen dipende quasi totalmente dall’estero, e il 47% del grano che consuma proviene dall’Ucraina e dalla Russia. Già adesso la situazione è critica: come ha spiegato Reuters, i prezzi alimentari sono esplosi, obbligando la popolazione yemenita a modificare le abitudini alimentari durante il mese di Ramadan: l’alimentazione non si baserà sui piatti tradizionali di questo periodo, ma semplicemente «su ciò che possiamo [reperire] per riempire i nostri stomaci».
segnalato da Alessandro Bruni