di Olga Musafirova. Pubblicato in Novaya-Gazeta-Europe e tradotto in Valigia blu e in La Stampa del 9 maggio 2022.
C’è una foto che ho scattato nei primi giorni di marzo, sulla prospettiva Peremohy di Kiev, vicino alla metropolitana Shulyavskaya. Il viale delle città-eroe, con le date 1941-1945, si era conservato dai tempi sovietici, ma ora aveva davanti una costruzione in compensato che diceva «Mine». Nessuno dei rari passanti si era arrischiato ad avvicinarsi per controllare se fosse una installazione artistica improvvisata, o se potesse veramente esplodere.
Nella pausa tra gli allarmi aerei, ho superato le mie paure per camminare rapidamente da casa verso il centro, almeno un tratto di strada. La metropolitana non funzionava, le stazioni erano diventate rifugi antiaerei. C’era odore di bruciato. I missili non abbattuti dall’antiaerea, balistici o di crociera che fossero, provocavano incendi, oltre all’esplosione. I roghi venivano spenti, ma l’odore non si dileguava. Nel lessico dei kyiviani si stava affermando una nuova parola, «gli arrivi», non nel senso degli atterraggi aeroportuali, ma dei missili che volavano sopra la città.
segnalato da Alessandro Bruni