a cura di Lidia Baratta. Pubblicato in Corona Economy del 9 maggio 2022.
Negli Stati Uniti, il tasso di turnover volontario nel lavoro è del 20% più alto rispetto al periodo pre pandemia. E pure in Italia, nonostante i numeri più piccoli, il 72% delle grandi aziende e multinazionali coinvolte nel Global Talent Trends prevede un ricambio di personale. Nel nuovo mondo del lavoro ibrido e remoto, il grande rimescolamento – più che la grande dimissione – sembra essere destinato a durare.
Sindrome dell’abbandono E le aziende dovrebbero prepararsi a una nuova “cultura delle dimissioni”, ha scritto Axios. Che non vuol dire rinunciare a lavorare, ma semplicemente cambiare lavoro più frequentemente di prima. Tanto che potrebbe servire in futuro anche un numero maggiore di recruiter per gestire il carico di nuove assunzioni ed evitare che alcuni ruoli restino scoperti a lungo. Secondo una ricerca di Gartner, un’azienda tipica – che di solito aveva un ricambio di circa un quinto dei suoi dipendenti prima della pandemia – ora potrebbe perderne quasi un quarto ogni anno.
Asso nella manica E questo anche grazie, o a causa, della diffusione di contratti di lavoro flessibili e a tempo, che non prevedono grossi obblighi legali verso le aziende. E che quindi, visti da questo punto di vista, sono ora l’asso nella manica per chi vuole cambiare lavoro ed è alla ricerca di condizioni migliori. Anche perché:
- con il boom del lavoro da remoto, la prateria degli annunci si amplia: la domanda di lavoro non arriva più solo dalle aziende vicine e ci sono molte più opzioni a disposizione;
- con il lavoro ibrido, anche le relazioni tra colleghi sono più sfilacciate e quindi è più semplice di prima direi addio al vecchio ufficio;
- sette lavoratori su dieci considerano ormai la possibilità di fare smart working come uno dei requisiti decisivi nella scelta del posto in cui lavorare.
Altro che antiwork Anche i numeri italiani ci dicono che le dimissioni sono legate al passaggio da un lavoro all’altro. E anche da noi sono soprattutto quelli che hanno un contratto a tempo determinato a dire addio al vecchio capo. Secondo una nuova analisi di Francesco Armillei, dalla fine del 2020 il tasso dei dimessi che trova un lavoro entro una settimana ha cominciato a salire in coincidenza con la seconda ondata di Covid-19, raggiungendo un picco del 40%, per restare poi sopra la media degli anni passati per tutto il 2021 in concomitanza con il rimbalzo del Pil. Anche se l’ordine di grandezza di quelli che hanno trovato lavoro in un settore o in una professione diversa dalla precedente in Italia non è tale da poter parlare di “great reshuffle”, ovvero grande rimescolamento.
Ma chi sono i dimissionari italiani?
- Uomini: il tasso di rioccupazione a un mese maschile è più elevato di quello delle donne di circa 10 punti;
- Quarantenni: i lavoratori tra i 40 e i 49 anni sono quelli con il tasso di rioccupazione a un mese più elevato, seguiti dai 30-39enni e poi da 15-29enni e 50-64enni.
- Laureati (ma non solo): il tasso di rioccupazione a un mese post-dimissioni cresce nettamente al crescere del titolo di studio. Per chi ha un titolo di studio terziario è quasi doppio rispetto a chi invece non ne possiede alcuno, ma allo stesso tempo l’aumento nel 2021 è trainato soprattutto da chi ha la licenza media o nessun titolo.
Il mercato dei candidati Il punto è che è aumentata la possibilità di scelta per i lavoratori: il rapporto tra offerte di lavoro e tasso di disoccupazione in Europa è cresciuto del 73% rispetto al 2019, con conseguente spostamento del potere decisionale dalle aziende ai candidati. L’analisi delle offerte di lavoro postate su Indeed evidenzia che in Italia, a fronte di un calo del 40% in piena pandemia, a partire da maggio 2021 si è registrata una crescita costante, con un picco di incremento del +58% a marzo 2022. Per ogni 100 opportunità lavorative esistenti pre-pandemia, oggi ne esistono 158.
Torna il team building Non solo. Chi cerca lavoro oggi è più esigente nella scelta, riducendo il numero delle candidature inviate e aumentando il tempo trascorso a leggere le recensioni aziendali. E i responsabili delle risorse umane dicono ormai che la chiarezza sulla missione aziendale, la flessibilità e la capacità di promuovere una cultura forte sono decisivi tanto quanto i contratti e i salari. Non a caso negli Stati Uniti, i ritiri aziendali, ora più di prima, sono già diventati un must per costruire quelle relazioni tra colleghi che forse fanno riflettere due volte prima di abbandonare l’ufficio.
segnalato da Alessandro Bruni
segnalato da Alessandro Bruni