di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
L’aggressione della Russia all’Ucraina, con le sue novità e gli orrori della sua realizzazione, ha sconvolto gli equilibri geopolitici europei e globali, ha costretto i diversi interlocutori, istituzionali e politici del nostro Paese ad uno sforzo di comprensione della sua inedita realtà e ad elaborare e proporre possibili vie per raggiungere una tregua delle armi, come premessa di un negoziato per ripristinare la pace violata.
Tra gli interlocutori politici che hanno manifestato una serie di giudizi in tal senso, e individuato le varie responsabilità dei soggetti in campo, c’è senz’altro una parte significativa della sinistra politica nostrana che, con giudizi, per la verità, più di intellettuali che di politici, ha cercato di ricondurre il giudizio complessivo del conflitto ad una serie di iniziative provocatorie precedenti, da parte dell’Occidente e della Nato, che avrebbero forzato gli equilibri dell’Est europeo. Pertanto, pur premettendo il carattere aggressivo dell’invasione russa, tali giudizi hanno concentrato la loro critica sulla scelta occidentale di inviare armi agli ucraini per rendere più efficace la loro resistenza, creando in tal modo le condizioni per il prolungamento della guerra, con l’inevitabile aumento del numero delle vittime.
Una posizione di apparente pacifismo, ma che trascura il fatto che porre oggi termine o indebolire strutturalmente la resistenza ucraina, significa inevitabilmente sanzionare la sua resa. In tal modo la guerra sarebbe stata di breve durata, e si sarebbe conclusa con la conquista russa dell’intera Ucraina, con la vittoria di Putin, come primo passo del processo di ricostruzione, diretta o indiretta tramite paesi satelliti, di un progetto neo-imperiale nella zona ex-sovietica. La gloriosa resistenza ucraina sotto la guida del presidente Zelensky ha impedito tale prospettiva, ha prolungato la durata del conflitto e resa più problematica sua conclusione sollecitando ripetuti invii di armi occidentali per rendere possibile una controffensiva destinata a mutare l’inevitabile esito filorusso della guerra.
Ora permane il concreto pericolo che, a causa dell’incerto equilibrio che si è creato, la guerra continui senza prospettive di soluzione, con il logoramento dei protagonisti e dell’intero quadro geopolitico interessato, con immani conseguenze negative in termini di vite umane perdute, per guerra e per fame, con la ulteriore, crescente difficoltà di ricostruire un ordine globale oggi sconvolto.
Alla luce di tale prospettiva la critica della sinistra nostrana risulta, a mio parere, parziale e priva di efficacia reale, perché si limita a contestate, con non pochi pregiudizi ideologici, i limiti della parte occidentale nel conflitto senza alcuna proposta risolutiva, per quanto difficile da realizzare. Tornando alla genesi e alla natura del conflitto dobbiamo tener presente che la guerra di aggressione è nata proprio sulla base dell’enorme divario di potenza militare tra Russia e Ucraina, e che su quel piano l’intervento dell’Occidente è limitato dal pericolo di una possibile escalation globale.
La risposta ucraina sul terreno ha dimostrato, pur con l’invio di armi occidentali, che il divario di potenza militare iniziale non può essere superato, , e che le sanzioni economiche, rispetto alle quali la Russia sarebbe più vulnerabile, sottostanno ai limiti, per entità e modalità e tempi di realizzazione, delle decisioni assunte dai 27 Stati dell’Unione Europea. A questo punto è necessario introdurre una distinzione tra Stati Uniti e Unione europea, perché mentre i primi influiscono soprattutto con le armi, ed essendo i maggiori fornitori sono anche i più vincolati nelle loro spedizioni, e l’Unione europea che, essendo attaccata sul suo territorio da parte di uno Stato autoritario che è anche il suo maggiore fornitore di gas avrebbe potenzialmente in mano l’arma maggiore per ridurre i tempi del conflitto senza spargimento di sangue, che consiste nel blocco della fonte principale di finanziamento della guerra russa.
Sappiamo però che la scelta dell’embargo del gas russo non è stata ritenuta possibile per gli effetti di recessione economica che determinerebbe. Di fronte a tutto questo, la sinistra critica mantiene il nucleo decisivo del suo giudizio sull’invio delle armi, individuando la responsabilità determinante degli Stati Uniti e della Nato, che in tal modo sarebbero mossi da mire espansive verso l’Est, con la collaborazione della stessa Italia, che darebbe un contributo negativo alla prosecuzione della guerra.
Una critica dura, condita con dichiarazioni di segno pacifista, accompagnate da frequenti citazioni di Papa Francesco e delle sue denunce profetiche. Con l’aggiunta anche di fumose dispute costituzionali circa il presunto divieto di inviare armi che sarebbe stabilito dall’articolo 11 della nostra Costituzione, la quale è nata proprio sul presupposto di una lotta di autodifesa del popolo italiano. Peccato che, in tanto polemizzare, manchi ogni riferimento a scelte politiche positive, diverse dalle armi, necessarie per, quantomeno, arrivare a una tregua. Difficile non individuare in tutto ciò la permanenza di un certo condizionamento ideologico antiamericano e una conseguente sottovalutazione del ruolo possibile dell‘Unione europea nel nuovo contesto geopolitico globale.
La comprensione delle nuove dinamiche e dei tanti problemi e pericoli che caratterizzano il mondo di oggi richiede, da parte di tutti, una preventiva rinuncia a pregiudizi, più o meno consolidati, per poter dare un modesto contributo alla costruzione di un nuovo ordine più informato alla cooperazione e alla pace. La sinistra dovrebbe raggiungere una particolare distinzione in tal senso.