di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
Nonostante il mare di parole che hanno auspicato la pace, la guerra di aggressione russa all’Ucraina continua lungo un percorso indefinito, caratterizzato da uno stillicidio di orrore e di morte, senza apprezzabili prospettive di pace. Nata su un presupposto di breve durata, l’imprevista resistenza ucraina gli ha conferito identità e durata del tutto diverse, e gli interventi da entrambe le parti si sono rivelati inefficaci a creare le condizioni favorevoli alla pace.
La Russia di Putin, di fronte alle maggiori difficoltà, ha mantenuto l’obiettivo iniziale della guerra, cercando, con una ulteriore intensificazione del conflitto, di ricondurla alle finalità primitive senza riuscirci. L’Ucraina, subissata sul piano della forza militare, ha puntato sulla sua resistenza e sul sostegno degli occidentali tramite l’invio di armi. Va precisato che nella sostanza questa è una guerra contro L’Europa, combattuta sul suo territorio, una guerra contro le sue prospettive di crescita solidale e contro i suoi valori di democrazia e libertà.
La reazione da parte dell’Occidente è stata condizionata dalla giusta preoccupazione di evitare una possibile escalation del conflitto, fino ad arrivare al possibile uso dell’arma nucleare, e si è concretizzata in due direzioni, l’invio di armi per rafforzare la resistenza Ucraina, e le sanzioni economiche alla Russia, senza peraltro mettere in discussione il rapporto di forte dipendenza dalla Russia nella fornitura di gas e petrolio. Il risultato è stato finora di un conflitto gestito sul campo dagli ucraini, militarmente irrobustiti dall’invio di armi, contro una Russia indebolita dagli effetti dei diversi pacchetti di sanzioni.
L’effetto complessivo è stato condizionato sia dal mantenere le forniture energetiche russe, che dalla necessità di evitare un ulteriore aggravamento delle condizioni economiche occidentali, già provate dagli effetti della pandemia e dal ritorno dell’impennata dell’inflazione. Quest’ultima scelta ha privato l’Europa dell’uso della leva più efficace per mettere la Russia in estrema difficoltà, indipendentemente dall’uso delle armi, cioè l’embargo totale del gas russo, costruendo in diverse direzioni una linea alternativa di rifornimento e consumo. Una scelta radicale, piena di difficoltà, di forte efficacia nei confronti di Mosca perché incide pesantemente sulla possibilità di sostenere il costo della guerra (900 milioni di dollari al giorno), ma non impossibile.
Quando alcuni, compreso il governatore di Bankitalia Visco, proposero di discuterla, furono subito subissati da una serie di pareri negativi, condizionati anche dall’immediato rifiuto della Germania, per gli effetti recessivi che avrebbe provocato. Successivamente il Centro Studi di Confindustria ha calcolato che i suoi effetti sarebbero stati per noi la perdita di due punti di Pil, ma la discussione era già di fatto conclusa. Il dibattito andò invece concentrandosi sulla opportunità e liceità costituzionale dell’invio di armi, ridimensionando, a mio avviso, quest’altro fronte di lotta, che le sanzioni, decise in diverse occasioni, coprono solo in parte.
Nel frattempo, la guerra è proseguita senza che la diplomazia potesse assumere un ruolo concreto per la netta opposizione di Putin. Pur con la perdurante supremazia militare russa, che continua a provocare orrore, distruzione e morte, limitata soltanto da alcune controffensive ucraine, la guerra sta proseguendo senza alcuna ipotesi di tregua e già la Nato, prevede che durerà anche nel 2023. Intanto l’Occidente, spossato dalla pandemia, condizionato dalle conseguenze della guerra, e alle prese con l’impennata dell’inflazione, sta attraversando una fase recessiva rispetto alla quale la Russia di Putin, finanziariamente meno assillata della fase precedente, si permette di dar vita a concrete contro sanzioni usando il gas come arma efficace contro gli stessi Paesi dipendenti dalle sue forniture. Dopo aver imposto il pagamento in rubli, negli ultimi tempi è passato a ridurre unilateralmente le forniture di gas in misura diversa nei confronti dei singoli Paesi, secondo una propria strategia.
Tutto ciò costringe il nostro Paese ad attuare piani di restrizione dei consumi energetici anche per evitare un possibile processo recessivo. Una stretta produttiva dettata dalle contromosse di Putin e non per iniziativa europea finalizzata a sconfiggere Putin. L’evoluzione di questa vicenda dimostra come l’Europa attuale, nel suo concreto modo di decidere e di funzionare, si dimostra non all’altezza di intervenire efficacemente in un conflitto basato soprattutto sul rapporto di forza militare ed economica. Senza la struttura e la sovranità propria di una federazione di Stati, dotata di un proprio esercito e di una propria politica di difesa l’Ue non è in grado di svolgere un ruolo protagonista nella regolazione dei rapporti internazionale, specie in caso di conflitto aperto.
La consapevolezza di tale limite dovrebbe fungere da stimolo ad accelerare ‘impegno per realizzare le riforme necessarie ad un concreto avanzamento verso una struttura federale dell’Ue, dotata delle funzioni e dei poteri necessari a svolgere quel ruolo di iniziativa politica e di regolazione diplomatica indispensabili per offrire un contributo determinante nella costruzione di un nuovo ordine mondiale che dovrà comunque nascere dalla soluzione di questa inestricabile guerra.