Presentazione dell'autrice.
L’incubo di Putin. Anna Politkovskaja: voce libera di Cecilia Alfier è uscito lo scorso primo maggio per Alba Edizioni. Il progetto è nato ben prima dello scoppio della guerra in Ucraina: era la tesi di laurea magistrale in Scienze Storiche che mi è stata assegnata nel lontano 2017 dal professor Giovanni Focardi, docente di storia contemporanea dell’Università di Padova.
Quando sono andata a chiedergli la tesi, non volevo solo terminare un percorso di studi, ma anche lasciare un impatto, seppure piccolissimo, sull’attualità. Mi ero resa conto del pericolo che il regime di Putin potesse rappresentare per i fragili equilibri internazionali, quindi volevo che il focus fosse su di lui. Era un argomento decisamente fuori dalla mia comfort zone, ma questo non mi ha fermata.
Dopo un po’, il professore mi ha proposto di approfondire la storia tragica di Anna Politkovskaja, in accordo con le mie aspirazioni giornalistiche.
Il 7 ottobre 2006, nel giorno del compleanno di Vladimir Putin, una giornalista veniva uccisa nell’androne di casa sua, con le buste della spesa ancora in mano. Era Anna Politkovskaja e la sua unica colpa era di aver scritto la verità su cosa vedeva in Russia e in Cecenia. Questo libro ripercorre non solo l’attività giornalistica di una voce fuori dal coro, ma anche il travagliato passaggio dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica fino all’avvento di Putin e all’applicazione spregiudicata della sua politica autoritaria. Cosa significava e cosa significa fare opposizione interna all’ultimo Zar?
La memoria di Anna Politkovskaja si sta perdendo, almeno in Russia. Nel 2016, a dieci anni dalla scomparsa, solo una persona scese in piazza a Mosca. Il giornalista Tiumen Boris Konakov si presentò sotto il monumento a Lenin, con le mani legate, la bocca imbavagliata e il cartello “Il silenzio non è assenso”. Aveva annunciato un flashmob dalla sua pagina Facebook, ma fu seguito solo da due colleghe e ignorato dai passanti .
Scrivo di questa straordinaria giornalista perché la sua memoria non cada nell'oblio. In fondo, è il mestiere dello storico: evitare che intere vite e interi pezzi di umanità vengano dimenticati. Ho indagato su Anna Politkovskaja per due anni, ho parlato con sua figlia; è stato faticoso e a tratti destabilizzante. È una ricerca che lascia amareggiati. Perché la scia di sangue in Russia non si ferma, la lista dei giornalisti uccisi (la maggior parte delle volte senza che venga individuato un vero colpevole) sembra infinita; spesso manca la volontà politica di risolvere questi delitti. Inoltre, il controverso coinvolgimento della Russia in Siria e il conflitto in Ucraina rappresentano nuove sfide per il giornalismo russo.
Il mio interesse per l’ambigua figura del presidente Vladimir Putin nasce nel 2016, quando, da appassionata di scacchi, leggo il nuovo libro del dissidente Garry Kasparov, “L’inverno sta arrivando ”. Non è una lettura semplice, così come non è semplice parlar male di Putin. Con lui la Russia sta economicamente meglio (a livello generale, ma il numero di poveri è sempre molto elevato) e molti sovranisti occidentali lo acclamano come leader. Penso che quanto la Russia ha guadagnato in economia l’abbia perso in altri ambiti. Penso che il suo presidente, sebbene non si sia direttamente sporcato le mani di sangue, abbia sulla coscienza molte vite, non solo quella di Anna Politkovskaja, che, anzi, avrebbe dovuto pro-teggere, o quella dei civili ceceni, ma anche la vita di molti altri suoi connazionali (si pensi, a esempio, alla decisione di usare il gas letale al teatro Dubrovka).
Se la morte di Anna Politkovskaja non ha suscitato le reazioni che ci si sarebbe aspettati, diverso è il caso di Ivan Gu-linov. Il rapporto dei Russi con la memoria del passato è difficile, in particolare con lo stalinismo: i problemi di fondo dell’Unione Sovietica sono venuti a galla solo nell’epoca della Perestrojka, ma esistevano da almeno settant’anni, come ha spiegato Maria Ferretti in un suo saggio .
Il libro è articolato in sei capitoli.
- Il primo si propone di esporre il quadro storico in cui Anna Politkovskaja si è formata, a partire da Gorbaciov e la dissoluzione dell’URSS, con attenzione all’evoluzione del mondo dei mass media, dall’entusiasmo della Perestrojka alla disillusione.
- Il secondo è dedicato alla fase interlocutoria rappresentata dal periodo della presidenza di Boris Eltsin.
Il terzo ricostruisce l’ascesa e la conservazione del potere da parte di Vladimir Putin, con l’analisi dei punti forti e dei punti deboli della sua politica. - Il quarto ripercorre la vita di Anna Politkovskaja, il suo stile, il suo metodo di lavoro, alcuni dei suoi articoli.
- Il quinto ricostruisce i conflitti in Cecenia, con una partico-lare attenzione a come i mass-media lo abbiano raccontato e, successivamente, come lo avrebbe fatto la Politkovskaja, una delle poche giornaliste che dava voce alle vittime, fossero esse cecene o russe (spesso soldati semplici maltrattati o madri di soldati in cerca di giustizia). In questo capitolo si parla di Beslan e della strage del teatro Dubrovka; un paragrafo è dedicato al processo Budanov, emblematico perché fu una delle poche volte in cui un ufficiale russo venne condannato per i propri crimini (aveva stuprato e ucciso una ragazza cecena).
- Il sesto e ultimo capitolo riguarda il processo agli uccisori della Politkovskaja, con la condanna degli esecutori materiali ma non dei mandanti, motivo per cui la Russia, a luglio 2018, è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. L’analisi del processo è preceduta dal commento all’omicidio da parte di vari giornali internazionali.