di Alessandro Cavalli. Pubblicato in Strada Maggiore, Il Mulino del 28 giugno 2022. Questo articolo fa parte dello speciale La guerra in Ucraina edito da Il Mulino. Sintesi di Alessandro Bruni.
È possibile che una frazione della classe dirigente russa abbia concepito il desiderio di una rivincita sin dall'epoca del collasso dell'Unione sovietica ed è molto probabile che Putin e i servizi segreti appartengano a questa frazione. La storia ha condannato l'Ucraina a essere il primo oggetto di desiderio.
L'occasione si è presentata con il crescente fabbisogno di energia da parte dell’Ue, dovuto in parte all'aumento dei consumi privati, in parte all’incompleta affidabilità dei produttori medio-orientali, in parte all'esigenza di abbandonare le risorse proprie delle regioni carbonifere e in parte alla decisione di alcuni Paesi di interrompere la produzione di energia da fissione nucleare e comunque di non procedere alla costruzione di nuove centrali nucleari.
L’Italia e, soprattutto, la Germania si sono rivolte fiduciose alla Russia favorendo la costruzione di diversi gasdotti per garantire la copertura dei propri fabbisogni energetici. Sembrava la soluzione ideale: la Russia sarebbe diventata dipendente dalle esportazioni e l'Europa dalle importazioni. La dipendenza reciproca sembrava la migliore garanzia della fiducia reciproca. Le cose non sono andate esattamente in quella direzione.
Putin, o chi per lui, ha capito di disporre di una potente arma di ricatto: chiudere i rubinetti del gas, significherebbe infatti mettere in ginocchio una buona parte d'Europa, a partire dalla Germania.
L'invasione dell'Ucraina non è stata quindi la mossa disperata di un pazzo o di un malato, come qualcuno ha creduto cedendo al wishful thinking. All'inizio sembrava aver fatto male i calcoli, sottovalutando la capacità di resistenza, anche militare, dell'Ucraina, ma alla lunga, nonostante la fornitura di armi da parte dell'Occidente, la disparità delle forze è apparsa evidente e, ad oggi, non sappiamo come andrà a finire. Il tentativo, anche un po' grottesco, di non implicare formalmente la Nato nel conflitto, per ora ha evitato un'escalation della guerra, ma non ha impedito l'irrigidimento del conflitto in cui nessuno dei contendenti è disposto a perdere.
Un’Unione europea forte e indipendente, assieme alla Cina, potrebbe imporre una pace senza vinti e senza vincitori, ma l'Ue non è né forte né indipendente e la Cina, per ora, sta a guardare. Una cosa però è certa, la reazione dell'Ue è stata debole e non poteva che essere tale, perché l'arma del ricatto russa è molto più efficace dell'arma di ricatto europea. Sono affiorate le divisioni tra i Paesi membri dell'Est più preoccupati di fermare le mire espansioniste del nuovo zar di tutte le Russie e i Paesi dell'Ovest (Germania e Italia in testa) per i quali ancora per diversi anni il gas e il petrolio russi saranno indispensabili.
Il ricatto energetico non è l'unica arma di cui Putin ha fatto e farà uso in futuro: c'è anche la minaccia di favorire e di mettere in moto movimenti migratori di ampia portata sia da Est verso Ovest, sia da Sud verso Nord se, come molti sostengono, il mancato rifornimento di grano ucraino a diversi Paesi africani provocherà in essi una drammatica crisi alimentare. Putin ha da lungo tempo capito che nulla rende le democrazie dell'Occidente più vulnerabili dei fenomeni migratori fuori controllo e infatti non ha esitato a sostenere, finanziariamente e con la manipolazione delle campagne elettorali, i populismi nazionalisti, dall'ascesa di Trump, alla Brexit nel Regno Unito, nonché il movimento di Le Pen in Francia e della Lega di Salvini in Italia.
Infine, Putin ha molto chiaro che l'aumento del prezzo delle materie prime, in gran parte dovuto alla guerra, provocherà una forte ondata di inflazione nell'intero Occidente. Sa bene che l'inflazione erode il consenso, mette a dura prova le istituzioni democratiche e fa esplodere le disuguaglianze sociali: le classi inferiori rischiano di varcare verso il basso la soglia della povertà e le classi medie vedono ridursi sensibilmente il loro potere d'acquisto e quindi il loro tenore di vita, fornendo di nuovo un terreno fertile ai movimenti di stampo populista e nazionalista.
La guerra all'Ucraina è quindi una sfida all'Unione europea. Questa sarà in grado di rispondere alla sfida efficacemente? È chiaro che, per scoraggiare ulteriori ambizioni russe di recuperare territori o aree di influenza ai propri confini occidentali, l'Europa deve dotarsi di una forza di difesa efficace. Per ora, di fatto, le uniche decisioni prese riguardano l'aumento delle spese militari degli Stati membri (soprattutto della Germania), ma assai poco è stato fatto per dotare l'Unione di una credibile forza militare. Disporre di 27 eserciti scarsamente integrati dovrebbe essere visto come irrazionale anche dal solo punto di vista dell'efficacia militare, per non parlare dello spreco di risorse. Perché, allora, l'idea di un esercito europeo è stata di fatto archiviata, anche se, di quando in quando, qualcuno la ritira fuori senza molta convinzione?
L'Europa ha rinunciato ad avere un esercito perché ha rinunciato alla propria indipendenza in politica estera, ha di fatto appaltato la sua difesa (quella vera, cioè nucleare) alla superpotenza americana. Un alleato scomodo, che qualche volta non avremmo voluto seguire, ad esempio in Vietnam o in Iraq, ma che tuttavia ci esentava dalla responsabilità di avere una politica estera e ci consentiva sonni tranquilli. Diciamolo francamente, gli Stati Uniti non hanno nessun interesse a un rafforzamento dell'Unione europea, anche perché un’Ue forte vorrebbe dire un euro forte e quindi una moneta internazionale in concorrenza col dollaro, sia come moneta di riserva sia come moneta di scambio sui mercati mondiali. Che Europa e Stati Uniti abbiano interessi comuni non è affatto scontato. È la scelta aggressiva di Putin che ha risvegliato l'alleanza. Da che mondo è mondo, il modo migliore di stare uniti è di avere un nemico comune.
Certo, Europa e Stati Uniti hanno interesse a che le democrazie non vengano sconfitte. Ma le cose però sono cambiate oggi. Putin ha attaccato l'Ucraina per attaccare l'Europa, ma non si sogna di attaccare l'America. L'Ue ha dimostrato di essere in grado di allargarsi territorialmente senza usare le armi, e cioè pacificamente, e anzi, quasi senza volerlo. Il suo «modello» è «naturalmente» espansivo, la libertà e un certo benessere diffuso che promette non ha bisogno di soldati, di carri armati e di missili puntati. Ed è un nemico temibile perché rischia di trovare alleati interni capaci di scuotere le fondamenta dell'ordine autocratico. Non vuole difendersi dalla per ora inesistente potenza militare Ue, ma dalla democrazia.
Il problema non sembra facilmente solvibile perché non c'è modo per ridurre l'attrattività dell'Ue se non cercando di indebolirla, e questo è il vero obiettivo di Putin. Se non ci riesce, e noi europei non vogliamo che ci riesca, l'unica soluzione è assicurargli, con tutte le garanzie internazionali possibili, che una fascia di Paesi dell'Est europeo non entrerà nell'alleanza atlantica, pur restando nell'Ue. Questo implica un'Ue differenziata al suo interno tra un nucleo che fa parte della Nato e uno che non partecipa all'organizzazione militare e dispone solo di una «polizia» interna. Come ciò sia possibile, è difficile da immaginare.
Il bisogno di costruire un ordine internazionale multipolare dove l'Europa sia presente in posizione non subordinata agli Stati Uniti sembra evidente. Ciò non vuol dire che sia probabile, ma è senz'altro desiderabile.
sintesi di Alessandro Bruni
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