di Massimo Recalcati. Filosofo e analista lacaniano della società. Pubblicato nel blog dell'autore e in la Repubblica del 25 giugno 2022.
«Il principio è acqua » ; « tutto è acqua » , sentenziava il primo filosofo, Talete di Mileto. La vita sorge dal bagno primordiale del bambino nell’utero materno, sosteneva Ferenczi. Il nostro corpo come il nostro pianeta è fatto per la maggiore parte di acqua ricorda la scienza.
Eppure la ragione occidentale sembra avere rimosso la presenza originaria dell’acqua istituendosi sul primato del suolo, della terra come fondamento del mondo.
In un libro coraggioso che mescola, con la consueta forza e originalità, filosofia, antropologia, arte, letteratura, cinema e racconto autobiografico, Simone Regazzoni, allievo di Derrida, dedica il suo ultimo libro titolato Oceano. Filosofia del pianeta ( Ponte alle Grazie, 2022), ad interrogare le ragioni di questa rimozione. La sua tesi è che il primato della terra — che costituisce un filo rosso metafisico che connota la ragione occidentale tradizionale — agisce come una sorta di esorcismo teoretico e pratico nei confronti della “ smisurata potenza” dell’Oceano.
«Terra» è, infatti, come scrive, «il nome del nostro desiderio di fondamento». La filosofia occidentale ha voluto difensivamente ignorare la sentenza di Talete — l’idea che la natura prima (physis) delle cose fosse acquatica — costituendosi come una geologia, o, meglio, come una come una “ geofilosofia”. Restare attaccati alla dimensione pietrificata della sua presenza — alla terra come suolo che non si muove, secondo una definizione di Husserl — offre una identità securitaria che invece il fluire incessante delle acque minerebbe. Si tratta di Okeanòs, una divinità primordiale cantata da Omero nell’Iliade; l’Uno- tutto che nel suo continuo divenire definisce il principio primo di tutte le cose. Non a caso anche in Eraclito la physis trova la sua immagine acquosa e fluida in un fiume che scorre.
Un pensiero “basato sulla terraferma” rigetta invece il divenire, l’“ inesausto scorrere delle onde” di cui è fatto l’Oceano. Se la terra è presenza, l’Oceano è flusso; se la terra è tracciata da confini, l’Oceano è sconfinato; se la terra può essere conquistata, l’Oceano si sottrae ad ogni disegno umano di appropriazione. La tesi di Regazzoni è che si tratta, a partire da questa differenza ontologica tra la terra e l’Oceano, di concepire una nuova cosmologia, una diversa filosofia della natura che non abbia più come centro di gravità il primato statico della terra, ma quello dinamico del mare e che sappia ricordare la provenienza della terra dalle acque dell’Oceano.
Tuttavia, non si tratta di opporre dualisticamente il divenire dell’Oceano all’immobilismo della terra, quanto riformulare, grazie ad un pensiero profondo del mare, il rapporto tra l’Oceano e la terra. Questo significa rompere con la “visione pedocentrica e geocentrica del cosmo”, significa instaurare un rapporto di nuova amicizia con la potenza smisurata dell’Oceano. Non è un compito semplice poiché Oceano non è solo immagine seducente della libertà, ma è anche il luogo inquietante di una forza che sovrasta. Il suo fondo non è azzurro ma nero, abitato da presenze minacciose, informi, mostruose come ricorda Melville attraverso Moby Dick.
La sua immensità è certamente una potente figura dell’aperto, ma è anche ciò che ci costringe a prendere atto della nostra impotenza. La sua potenza è, dunque, vitale e mortale nello stesso tempo; il suo infinito è, insieme, “ maestoso” e “spaventoso”. È qualcosa che Lacan, lettore di Freud, aveva a suo modo indicato quando riteneva che la psicoanalisi non dovesse servire a colonizzare la forza dell’Es — non a caso paragonata alla potenza devastatrice del mare del Nord — , ma ristabilire con questa forza un legame nuovo. Non si tratta di addomesticare l’Es, ma di avvenire proprio là dove l’Es si manifesta.
Nei termini proposti da Regazzoni questo significa accogliere la nostra appartenenza a questo Uno-tutto senza pretendere di esserne i padroni. Ma anche modificare radicalmente lo sguardo della filosofia; Oceano, infatti, esclude la possibilità di una filosofia sull’Oceano perché impone come necessaria la sua esperienza diretta. «Non si sta davanti a Oceano, ma immersi in esso » , scrive Regazzoni. E quello che compie il grande pittore inglese Turner che per provare a raffigurare l’irraffigurabile dell’Oceano si fa legare all’albero maestro della nave Ariel, nel mezzo di una tempesta in mare aperto. «Pittore del flusso», lo definisce Regazzoni in pagine davvero notevoli. Turner non dipinge a distanza di sicurezza ma deve bruciare questa distanza per potere dipingere Oceano.
Accade anche allo stesso Regazzoni nella sua esperienza diretta dell’Oceano che racconta in modo avvincente. Oceano penetra tutti coloro che ne fanno esperienza. Il luogo stesso del pensiero non può che esserne contaminato. « Nel mio taccuino, che porto sempre con me, si sono accumulati granelli di sabbia finissima. Lascio che penetrino tra le pagine, si insinuino tra le cuciture, facciano corpo con la carta e la salsedine che la impregna. Pensare qui significa rompere con la riflessione per lasciare penetrare la natura nello spazio materiale del pensiero, mescolarla alla scrittura».
segnalato da Alessandro Bruni