di Fulvio Ferrario. Teologo presso la Facoltà valdese di Roma. Pubblicato in Il blog di Enzo Bianchi del 19 luglio 2022.
Nell’ottobre 1914 viene pubblicato in Germania un celebre manifesto, indirizzato Al mondo della cultura, nel quale 93 intellettuali tedeschi esprimono il loro consenso entusiasta alla guerra della Germania, che considerano un impegno per la difesa dell’eredità della cultura europea contro la barbarie occidentale e democratica. Tra i firmatari, oltre a famosi scienziati come Max Planck e Wilhelm Röntgen, troviamo un buon numero di teologi, capitanati da Adolf Harnack, il grande portavoce di un Cristianesimo al passo con il nuovo secolo.
Karl Barth, allora pastore in Svizzera, reagisce sgomento a questo inno bellicista. Per quanto riguarda in particolare i teologi, il suo ragionamento è: se, nel momento decisivo, la teologia protestante non riesce a far altro che unirsi a un coro guerrafondaio, il problema non riguarda solo l’etica politica, bensì le basi stesse della riflessione teologica. Il nome di Gesù Cristo, cioè, diviene di fatto irrilevante, di fronte a considerazioni dettate dalla mentalità del tempo e del luogo. Non basta dissentire politicamente da Harnack o da Seeberg, occorre rifondare la teologia. Così Barth, le considerazioni del quale ritornano alla mente nel contesto del conflitto ucraino.
segnalato da Alessandro Bruni