di Redazione di Aiccon. Concept note delle Giornate di Bertinoro per l'economia civile del 14-15 ottobre 2022.
In un momento storico come quello attuale, contrassegnato dall’affermazione di crisi di carattere sistemico che rimettono in discussione i tradizionali modelli di sviluppo, sembra emergere una rinnovata consapevolezza di come le sfide che ci troviamo davanti, non possano trovare soluzioni adeguate attraverso la messa in campo di risposte individuali o agite da singoli attori. Al contrario, l’unica strada per uscire da una posizione meramente difensiva e formulare un nuovo ideale di futuro, è quella di scommettere su un agire corale caratterizzato da alleanze, collaborazioni e sperimentazioni inedite. Allo stesso tempo però, qualunque gioco di squadra si regge su una premessa dalla quale è impossibile prescindere, ovvero l’esistenza di un mutuo riconoscimento tra sé e l’altro.
Allearsi e collaborare diventa possibile solo quando riconosciamo di essere legati all’altro in virtù di una relazione di interdipendenza: il mio futuro dipende dal futuro dell’altro. E qui è importante precisare subito due aspetti: il primo è che se guardiamo all’attualità il cosiddetto “altro” non è solo “l’altra persona”, ma può essere l’ambiente naturale, oppure un’altra nazione, o ancora un’altra popolazione o un altro attore sociale, in estrema sintesi “l’altro” è qualunque alterità con cui si ha un legame di interdipendenza. Il secondo muove dall’assunto secondo il quale tale legame non si riduce ad un rapporto meramente pietistico o solidaristico, ma si sviluppa secondo un principio di reciprocità.
2. Riconoscersi per includere. Il valore della governance nella “società del rischio”
Di fronte ad un futuro come quello odierno, dal quale si origina un senso di profonda incertezza che spesso finisce per paralizzare persone e organizzazioni, il riconoscersi diventa il punto di partenza per rispondere alle due maggiori esigenze evocate dalle collettività: la protezione e il cambiamento.
Ci troviamo, oggi, di fronte ad un trilemma politico, dal momento che ciascun principio ha bisogno dell’alleanza con uno degli altri due per affermarsi. Tre sono pertanto le tipologie di convergenza che possono darsi nella pratica ed il Terzo settore assume dunque il ruolo strategico di catalizzatore di tali nuove alleanze.
Quello che bisogna chiedersi perciò è cosa fare per fronteggiare questa crescente richiesta di riconoscimento? Il bivio che si apre di fronte è quello che vede da un lato la strada che porta a rincorrere la creazione di sempre nuovi dispositivi di tutela basati su un impianto ancora prettamente assistenziale e sulla logica della “presa in cura”, mentre dall’altro si apre la strada che intende rispondere all’incertezza con l’accettazione e l’assunzione del rischio secondo però la logica del “avere cura”, che implica uno sforzo volto alla capacitazione, all’imprenditorialità e all’attivazione della persona.
Occorre uscire dalla dicotomia assicurati—assistiti. In caso contrario il rischio è quello di adottare un sistema di servizi dove la cura è ridotta a prestazione, quando invece sempre di più la domanda di partenza che dovrebbe tradurre l’intenzione di mettere la persona al centro. Un protagonismo che non va appena rivendicato, ma messo a disposizione per la valorizzazione dell’intelligenza collettiva e la costruzione
di nuove geografie del valore.
3. Le transizioni non sono neutrali. La valenza trasformativa del Terzo settore
Interrogarsi sulle traiettorie di cambiamento che interesseranno le collettività nei prossimi anni, unitamente al protagonismo delle comunità, permette poi di osservare come le recenti crisi indichino l’inizio di una nuova e lunga transizione. Il pericolo maggiore riguarda l’ignorare il fatto che le “transizioni” non sono mai neutrali. Esse possono infatti portare ad un effettivo miglioramento delle condizioni di vita di molte persone, così come peggiorare ulteriormente le criticità sociali e alimentare le disuguaglianze già in essere. Su questo fronte il principio del mutuo riconoscimento trova tre principali ambiti di sperimentazione che permettono di connotare le trasformazioni in atto, evitando riduzionismi funzionalistici e neutralità tecnicistiche.
- Il primo riguarda l’adozione del modello democratico e deliberativo per la presa delle decisioni e la definizione delle priorità.
- Il secondo riguarda la presenza di un Terzo settore capace di allestire contesti abilitanti, costruire infrastrutture sociali e disegnare economie secondo uno spirito di neo-mutualismo, giocando un ruolo strategico in questa fase cosiddetta “di ripartenza” per la definizione di proposte operative che ridisegnino gli assetti abituali tra gli attori territoriali.
- Il terzo invece riguarda l’estrema urgenza di ridare al lavoro il proprio ruolo di attività volta alla piena realizzazione della persona rendendolo così allo stesso tempo giusto (cioè capace di offrire il potere d’acquisto necessario per provvedere alle proprie necessità) e decente (cioè capace di portare ad piena fioritura umana).
Quando infatti il lavoro non è più espressione della persona, perché si non comprende più il senso di ciò che si sta facendo, diventa schiavitù. A ben guardare però, forse oggi risulta più utile ragionare non tanto in termini di “contratto” quanto piuttosto in termini di “patto sociale” ridisegnando il welfare su base territoriale, rappresentano i cantieri più rilevanti su cui impegnarsi e convincersi che un diverso ordine sociale è necessario per poter passare dalla “diagnosi”, alla concretezza della “terapia”.
4. La necessità di ri-costruire un nuovo spazio politico ed economico
Se è vero poi che il Terzo settore deve avere il coraggio di proporsi come “asset-holder” ossia “portatore di risorse” e non solo come “need-holder”, ossia portatore di bisogni, è altrettanto indispensabile che la politica maturi la consapevolezza che la vita democratica non riguarda solo le procedure, ma anche la definizione di uno spazio aperto (espressivamente deliberativo) che non può fare a meno di legami sociali, cittadinanza attiva, imprenditorialità sociale e mutualismo.
Questa evidenza emerge dal fatto che la condizione umana di oggi è connotata dalla transizione dall’individualismo di appartenenza, all’individualismo di singolarità. Questa metamorfosi dell’individuo nel “singolo” va ponendo problemi inediti, primo fra tutti la contraddizione pragmatica secondo cui il singolarismo, mentre presuppone qualcosa di comune, vuole prendere le distanze da questa comunanza perché giudicata opprimente, omologante. Per riuscirci occorre però fare uno sforzo collettivo invitando la politica a non farsi guidare dal cortotermismo e dal paternalismo, stimolandola a riconnettersi con l’esperienza reale delle comunità.
Da qui l’emergere di domande che non è più possibile rimandare: come affiancare le istituzioni pubbliche nello sviluppo di modalità decisionali in grado di tenere insieme l’orizzonte di breve con quello di lungo periodo? Quali tipologie di governance si rendono necessarie per accompagnare e governare le grandi transizioni?
sintesi di Alessandro Bruni. Per leggere l'articolo completo aprire questo link