di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
Pandemia e Dad hanno prodotto un arretramento nei livelli di apprendimento della scuola pubblica senza precedenti. I dati di confronto con gli 80 paesi che usano la stessa metodologia di valutazione lo dimostrano. Ora vengono raddoppiati (giustamente) gli ITS che riguardano una esigua minoranza di diplomati (da 20mila a 40mila), per il resto non c’è molto di nuovo. L’arretramento dell’apprendimento colpisce soprattutto le famiglie povere e del Sud che non hanno risorse extrascolastiche e non si possono permettere corsi integrativi di musica, lingua, viaggi, sport con istruttori, etc.. Federico Rampini ha scritto che in America la maggiore catastrofe non è stata quella dei decessi per Covid ma di un’intera generazione di studenti (la maggioranza) figli delle classi povere e medie che ha perso un anno di studi a differenza dei figli dei ricchi che si sono organizzati spostando i propri rampolli in scuole private dove si è sempre insegnato in presenza. Qualcosa di simile (seppure in modo più ridotto) è avvenuto anche in Italia con un raddoppio degli studenti che hanno frequentato qualificate scuole private o si sono organizzati in home schooling. Un fenomeno destinato ad allargarsi da settembre se le cose non cambieranno.
L’Italia è la nazione che ha deciso le maggiori restrizioni nelle scuole durante la pandemia, in particolare le elementari al Sud e le superiori in tutta Italia, con effetti su dispersione e salute mentale e fisica che stanno via via emergendo in modo drammatico come ha segnalato l’associazione pediatri italiani.
L’uso del telefonino è maggiore proprio tra gli studenti con minori risorse, mentre i ricchi lo usano (paradossalmente) meno e il digitale (dalla Lim al resto) si sta trasformando nella via povera all’istruzione (altro che modernità), mentre la via ricca è quella della relazione, di docenti qualificati che svolgono un ruolo di accompagnamento non solo allo studio ma alla vita stessa e di una ricca attività extrascolastica.
L’Italia spende molto poco per la scuola (il 4% del Pil) ed è, pertanto, al 30° posto sui 39 paesi Ocse (e agli ultimi posti in Europa). Quando la Nato ci chiede di passare dall’1% al 2% del Pil per la spese militari, si tratta di 18 miliardi all’anno che potrebbero mandare la nostra scuola dalla serie C alla serie A. E molti italiani pare ne siano consapevoli.
Avendo sempre meno studenti la spesa pubblica calcolata per singolo studente si alza; è infatti sotto la media Ocse per gli universitari, ma sopra per elementari e superiori: 9.947 dollari alle elementari per studente (9.550 media Ocse), 10.515 per le medie (11.091 media Ocse), 11.962 alle superiori (media Ocse 11.192); valori corretti per Pil e potere d’acquisto (fonte: Education at a glance, 2021). Spendiamo meno rispetto ai migliori paesi (Germania, Uk, nordici) ma non troppo di meno. Con più soldi si potrebbe fare molto meglio, ma la scuola pubblica è anche vero che spende come le migliori scuole private (altre, pessime, spendono la metà) che hanno ottimi livelli di apprendimento e quindi vuol dire che qualcosa nella pubblica non funziona.
Come ha indicato l’associazione Treelle la scuola di massa ha continuato ad “aggiungere” materie (ultima educazione civica) ma senza cambiare la metodologia didattica (frontale) con lezioni “trasmissive” dando scarsa importanza all’apprendimento effettivo che implica dopo la lezione una interazione degli studenti in piccoli gruppi con scambi anche emotivi. Del tutta abbandonata è stata poi l’altra via dell’apprendimento (da Sperimentazione/Discovery) che implica laboratori e insegnanti che non abbiamo (di musica, arte -che non è storia dell’arte-, sport e attività manuali) se non in rari casi o per la lodevole iniziativa di singole scuole, o dirigenti o docenti.
Tutto ciò avveniva mentre all’esterno della scuola la rivoluzione digitale dava la possibilità agli studenti di avere in tempo reale ogni tipo di informazione in modo iperpervasivo e accattivante attraverso il telefonino. Sappiamo bene che non è formazione ma informazione che…assomiglia molto però a quello che si fa spesso nelle scuole pubbliche, sempre più annoiati e seduti al banco senza potersi muovere.
Treelle.org in Il coraggio di ripensare la scuola propone di estendere l’orario scolastico nel pomeriggio. E’ una proposta giusta almeno (dico io) nelle scuole del Sud e comunque dove i livelli di apprendimento sono bassi. Si fa già ovunque in molti Paesi europei facendo in modo che gli adolescenti (a partire da quelli delle zone periferiche, più poveri, spesso del Sud) dai 14 ai 18 anni siano impegnati nel pomeriggio in “attività” e non “lezioni” come musica, sport, attività manuali e artistiche, giochi di ruolo, volontariato al servizio delle proprie comunità e cura dell’ambiente, offrendo ai giovani un tempo buono per il proprio sviluppo e potersi riconoscere in attività educative. Queste attività (senza voti) dovrebbero essere svolte da educatori anche esterni alla scuola, da artisti e professionisti che proprio perché vivono nella realtà sono in grado di trasferire ai giovani forza e vitalità e diventare “adulti di riferimento” per adolescenti che altrimenti finiscono spesso per vivere in strada, con videogiochi, in famiglie deprivate se non in “brutti giri”.
La comunità educante di cui si straparla è questa. Le scuole dovrebbero avere un loro budget in modo da selezionare questo personale e dare vita davvero all’autonomia. Si potrebbe iniziare con una sperimentazione nelle scuole più bisognose e non come al solito con leggi generaliste che riguardano tutti. E dopo 2-3 anni di sperimentazione, messa a punto la buona pratica, estenderla, come si dovrebbe fare per tutte le leggi in un paese civile interessato al bene comune e non solo ai voti.