di Enzo Bianchi. Monaco e saggista fondatore della Comunità di Bose. Pubblicato nel blog dell'autore del 19 settembre 2022.
Come quasi sempre succede, che io sappia nessuno ha ancora messo in evidenza un fatto inedito, una novità assoluta negli interventi di Papa Francesco nel corso del viaggio in Kazakhstan, intrapreso per partecipare al “Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali”. Per la prima volta il papa di Roma ha partecipato a un’iniziativa non indetta da lui o dalla chiesa cattolica, ma ha risposto insieme a tanti altri leader delle religioni alla convocazione voluta da un’autorità politica non cristiana, il presidente musulmano del Kazakhstan. Già questo fatto aveva destato perplessità e contestazioni, ma Francesco ha vissuto questo congresso in un modo che deve veramente interrogare soprattutto i cattolici.
Ciò che colpisce e si evidenzia come un’audacia nell’atteggiamento di Francesco è la sua capacità di rivolgersi agli altri partecipanti non cattolici, che professano diverse religioni e spiritualità, in modo totalmente nuovo — modo che scandalizza quei cattolici che lo giudicano non evangelizzatore, quasi una negazione dell’identità cattolica — , con un linguaggio adattato a un’assemblea di uditori provenienti da tutto il mondo.
Lo stesso vescovo ausiliare di Astana, monsignor Schneider, noto per il suo pellegrinare in Occidente a predicare il verbo tradizionalista, ha manifestato il proprio dissenso riproponendo l’antica posizione militante di chi deve dire subito che la propria identità è portatrice dell’unica verità. Perché invece il Papa in tre discorsi non ha mai fatto cenno a Gesù Cristo il Signore, e rivolto agli ascoltatori non cristiani, ma comunque capaci di affermare la presenza di Dio, si è limitato a evocare Dio, il Creatore, la Trascendenza…
Soprattutto nel discorso che seguiva una preghiera silenziosa, fatta gli uni accanto agli altri, una preghiera non fatta insieme ma simultanea il Papa, che ci lascia un memorabile magistero sul rapporto che deve instaurarsi tra religioni e pace, ha citato sovente Abai, il padre e poeta della letteratura kazana, mentre non ha mai citato né Gesù Cristo né il Vangelo! Ha citato anche Seneca, e sempre per affermare come l’essere umano sia una creatura sacra che impone il rigetto della violenza, dell’ostilità, della guerra.
E nel profetico discorso finale Papa Francesco ha ribadito ancora una volta la condanna della violenza e della follia della guerra, senza “se” e senza “ma”, affermando che è questo il primo compito delle religioni, che di conseguenza devono assumere una distinzione netta dall’autorità statale, distinguendo sempre la politica dalla religione. Il sacro non va mai strumentalizzato, il sacro non deve essere un puntello per il potere politico e il potere politico non può mai definirsi sacro o pretendere di avere una qualità religiosa. Questa è la miscela di religione e politica di cui si nutre la guerra tra Russia e Ucraina oggi, non dimentichiamolo!
Questa la novità: discorsi senza l’esaltazione della verità presente nella propria confessione, un papa che non sta al centro ma in mezzo agli altri, per parlare e ascoltare come gli altri, un papa che richiama con autorevolezza tutte le religioni al dialogo, alla concordia, alla pace. È stata un’occasione di sentita commozione: il successore di Pietro, vecchio, in carrozzina, ma ancora munito di vigore, che sta umilmente tra gli altri senza intenzioni di proselitismo, solo a servizio dell’umanità, perché convinto che “l’essere umano è la via della chiesa”.
segnalato da Alessandro Bruni
Commento di Alessandro Bruni. Il viaggio in Kazakhstan di papa Francesco e l'articolo di Enzo Bianchi mi hanno fatto ricordare un pensiero di George Santayana (citato nel noto Importanza di vivere di Lin Yutang), sul processo degenerativo delle religioni dovuto al troppo ragionamento. Dice Santayana: “Disgraziatamente, la religione, da molto tempo ormai, ha cessato di essere sapienza espressa in simboli, per diventare superstizione coperta da ragionamento. Il decadere della religione è dovuto allo spirito pedantesco, all'invenzione dei credi, formule, dottrine, articoli di fede e apologie. Noi diventiamo progressivamente meno devoti, man mano che cerchiamo di giustificare e razionalizzare le nostre credenze e così diventar sicuri di non sbagliare. Questo è il motivo per cui una religione diventa una setta limitata che crede di aver scoperto la sola verità. Ne consegue che più giustifichiamo le nostre credenze e più angusti di mente diventiamo, come è evidente di tutte le sette religiose. Ciò ha reso possibile alla religione di accompagnarsi con le peggiori forme di bigottismo, meschinità e perfino puro menefreghismo nella vita personale. Una tal religione coltiva l'egoismo umano non soltanto rendendo impossibile all'uomo di essere largo di mente verso altre sette, ma altresì convertendo la pratica della religione in un mercato privato tra Dio e l'uomo in cui il partito del primo contraente è glorificato dal partito del secondo, cantando inni e invocandolo in ogni concepibile occasione, e in contraccambio, il partito del primo contraente consiste nel benedire l'interessato medesimo, più di ogni altra persona, e la sua famiglia più di ogni altra famiglia. È così che l'egoismo innato può andar tanto bene a braccetto con la religione di certe vecchie signore religiosissime e praticanti regolarmente. Alla fine il senso della giustificazione, il senso di aver scoperto l'unica verità, prende il posto di tutte le più elevate emozioni, dalle quali la religione è nata.”