di Francesco Sassano. Sociologo della comunicazione. Pubblicato in World Politics Blog del 26 ottobre 2022.
Nel corso della Storia, ogni popolo ha costruito le proprie leggende ed i propri miti religiosi così da rispondere ai bisogni esistenziali e identitari degli esseri umani. Il “disincanto del mondo” ed il processo di razionalizzazione scientifica hanno favorito la comparsa nel XX Secolo di tre grandi narrazioni: la narrazione fascista, la narrazione comunista e la narrazione liberale.
Le tre grandi narrazioni:
La prima ha provato a spiegare la storia come un percorso di lotte tra nazioni, in cui un unico gruppo umano dominante avrebbe imposto con la forza la sua “superiorità” sull’intero globo.
Invece la narrazione comunista, concepisce la storia come un percorso di lotte tra classi, ed immaginava un mondo in cui tutti i gruppi umani avrebbero vissuto in nome dell’uguaglianza all’interno di un sistema sociale centralizzato a costo di sacrificare la libertà dei singoli.
Ed invece, la narrazione liberale, spiega la storia come una lotta tra tirannia e libertà, in cui tutti gli uomini cooperano liberamente e pacificamente, grazie ad un ridotto controllo centrale, pagando il prezzo di una certa dose di disuguaglianza.
Il conflitto tra queste tre narrazioni ha raggiunto il suo primo punto critico durante la seconda guerra mondiale, che ha visto la sconfitta della narrazione fascista. Dalla fine degli anni quaranta fino alla fine degli anni ottanta del Novecento il mondo è divenuto l’unico campo di battaglia conteso tra le due sole narrazioni restanti: il comunismo e il liberalismo. Il crollo del Muro di Berlino (1989) ha marginalizzato la narrazione comunista, ed ha aperto il mondo ad un’unica narrazione dominante, il liberalismo ha trovato campo fertile riproducendosi anche attraverso forme ibride su larga scala mondiale.
Da un punto di vista cronologico Harari Yuval Noah, sintetizza: <<Nel 1938 gli esseri umani potevano scegliere fra tre narrazioni globali, nel 1968 le opzioni si erano ridotte a due, nel 1998 sembrava prevalere una singola narrazione; nel 2018 non ne è rimasta alcuna>>.
Il trionfo della narrazione liberale:
I regimi democratici hanno sostituito le dittature, le imprese hanno superato i confini nazionali, il libero mercato nonostante le sue incongruenze ha trionfato. Negli ultimi decenni nessuno ha messo in discussione la dottrina imperante anzi in taluni casi le forze Occidentali hanno provato anche attraverso il metodo violento ad esportare i valori “democratici”; ne sono l’esempio lampante le guerre in Iraq, Siria ed Afghanistan.
Disporre di un modello di narrazione utile ad interpretare la realtà rappresenta uno strumento indispensabile per giustificare persino l’uso illegittimo della violenza, ma da quando questo sistema di idee è palesemente entrato in crisi, il senso di sconforto ha generato nuovi populismi ma soprattutto ha riaperto scenari apocalittici impensabili fino a poco tempo fa.
Dove non passano le merci passeranno gli eserciti:
La storia dell’uomo è una storia di violenze e soprusi, anche i nostri antenati sono stati particolarmente violenti, non a caso il celebre filosofo Hobbes sintetizzava con una celebre espressione latina “Homo homini lupus”, la natura egoistica dell’uomo all’interno di uno stato di natura, in cui il principio determinate dell’azione umana è principalmente impostata sull’istinto di sopravvivenza e sopraffazione. Da ciò deriva uno stato di perenne conflittualità, una “guerra di tutti contro tutti”. Per uscire da questo stato di conflittualità la pace va costruita, esiste solo come sforzo cosciente dell’uomo, a tal proposito dice Kant : <<Lo stato di pace tra gli uomini, che vivono gli uni a fianco degli altri, non è uno stato naturale>>. Il principale fattore, non l’unico, che riduceva conflitti e violenza era e resta lo scambio di beni tra comunità e individui tra loro stranieri. A supporto di questa tesi kantiana, confermata oggi anche dalle neuroscienze, è data dal fatto che noi esseri umani abbiamo delle aree del cervello che si accendono e provocano il rilascio di dopamina (il neurotrasmettitore del piacere) quando cooperiamo tra noi economicamente. Questa tesi confermata da recenti studi di economia cognitiva: non è una legge di natura, ovviamente, ma un’euristica che funziona a livello di negoziazioni interpersonali spontanee. Nel venir meno delle relazioni di scambio, perdiamo anche la relativa simpatia che abbiamo imparato ad avere per gli “estranei” che non appartengono al nostro stesso gruppo.
La guerra in Ucraina, la negazione dello spirito del commercio come strumento di pace:
Il conflitto in Ucraina, evidenzia come la risposta sanzionatoria da parte delle potenze Occidentali, seppur sacrosanta da un punto di vista giuridico, rappresenta la negazione del libero mercato, motore economico del liberismo e paradossalmente unico strumento funzionale alla pace.
Non a caso Kant riteneva che è proprio la natura a creare i presupposti dello stato di pace tra i popoli, attraverso lo spirito del commercio. All’interno del nostro scenario economico globalizzato; quello che si produce da una parte non può essere prodotto dall’altra e pertanto è necessario lo scambio tra i popoli, è necessaria l’integrazione tra i popoli, perché le economie dei popoli sono complementari. C’è uno spirito del commercio che spinge alla pace, secondo Kant, in quanto i popoli si devono aiutare per forza gli uni con gli altri, perché ognuno ha risorse diverse dall’altro. «È lo spirito del commercio che non può convivere con la guerra, e che prima o poi si impadronisce di ogni popolo. Infatti, dato che di tutte le forze (i mezzi) subordinate al potere dello Stato la potenza del denaro potrebbe essere quella più sicura, allora gli Stati (certo niente affatto spinti dalla moralità) si vedono costretti a lavorare in favore della nobile pace, e in qualsiasi luogo la guerra minacci di scoppiare nel mondo, a impedirla tramite mediazioni, proprio come se si trovassero in un’eterna alleanza per questo».
Riuscirà il sistema politico a gestire la crisi economica? Quanto è funzionale alla pace, distruggere strade aperte (Berlino 1989), distruggere ponti robusti (Crimea 2022) e gasdotti (Nord Stream 2022) per rimpiazzarli con nuove mura, fossati e recinti di filo spinato?
I presupposti che hanno visto la narrazione liberale avere la meglio e vincere sulle altre narrazioni sono apertamente in crisi d’identità, il libero mercato è chiuso e la pace è compromessa. Con l’implosione dello spirito del commercio, non solo si distruggono economie interconnesse, e si costringono alla fame numerosi popoli, ma, si autodistrugge il fondamento alla base del liberismo, ossia il “libero scambio” così facendo abbiamo sabotato uno dei mezzi utili a ripristinare la pace.
Il liberismo, a torto o a ragione, costituisce una sorta di enorme racket che privilegia una ristrettissima élite a spese delle masse.
Non a caso dovrebbe far riflettere come Paesi non Occidentali, come la Cina, l’India, il Brasile, l’Africa e buona parte del Medioriente non hanno espresso posizioni vicine ai membri “NATO”.
Non possiamo sottostimare la complessità riducendo il tutto ad uno scontro tra civiltà, la narrazione liberale necessita di un veloce aggiornamento prima che crolli definitivamente sotto i missili del Donbass.