di Sandro Spinsanti. Sguardi alla prossimità e all'etica della salute. Pubblicato nel blog dell'autore e in Salute Internazionale di ottobre 2022.
Qualsiasi bilancio sulla diffusione delle cure palliative non può iniziare che con una nota positiva: nel contesto italiano la palliazione è riuscita a farsi prendere sul serio. Non è stato per niente scontato. I pionieri di queste cure possono raccontare quanto sia stato difficile arrivare a costituire la Società italiana di Cure Palliative, nel 1986, e quanta ostilità abbiano incontrato anche in seguito. In un numero monografico dedicato al tema la rivista di Medical Humanities Janus (1) rilanciava un “Amarcord” di Franco Toscani, uno dei palliativisti della prima ora.
Guardando agli esordi, annotava: “Eravamo veramente in pochi a spargere in Italia la buona novella: pochi, eccentrici, idealisti e folli, rinnegatori, nei fatti, delle proprie origini di anestesisti, oncologi, psicologi”. Gli ostacoli venivano dalla cultura medica dominante, che era allergica al concetto di inguaribilità. I professionisti che l’assumevano come punto di partenza di un approccio palliativo venivano accusati di tradire lo spirito che deve animare la medicina. Qualcuno ne individuava le radici nell’etica ippocratica. La seduzione di un medico che non accetta mai di flettere la tensione terapeutica deve essere forte, se anche di recente – nel 2020 – la Fnomceo, proponendosi di rinsaldare i rapporti di fiducia tra medici e cittadini entrati in crisi nel periodo buio della pandemia da Covid ha riproposto una versione aggiornata del giuramento: “Io medico giuro: che avrò cura di te in ogni emergenza; che ti curerò senza arrendermi mai”.
sintesi di Alessandro Bruni
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