di Michele Ribolsi. Servizio di Psichiatria. Campus biomedico. Pubblicato in Il Punto del 15 novembre 2022.
La solitudine aiuta a crescere nella misura in cui consente il confronto con l’altro. Essere soli implica acquisire consapevolezza di sé stessi, dell’autenticità dei propri desideri e delle proprie aspirazioni, indipendentemente dai condizionamenti dall’altro. Impresa non semplice e, anzi, piuttosto coraggiosa, dal momento che l’omologazione dei bisogni e delle vocazioni rappresenta una norma universale che schiaccia le singolarità soggettive.
In tal senso, la solitudine, nel suo significato più autentico, rappresenta un’opportunità maturativa ed evolutiva. Il bambino sperimenta la separazione dai genitori e dopo una fase iniziale di smarrimento e solitudine, imparerà a costruire e a realizzare delle rappresentazioni che gli permetteranno di simbolizzare l’assenza delle figure genitoriali. La solitudine dunque rappresenta un’opportunità unica di crescita. I bambini che non sperimentano mai la solitudine, ma sono costantemente immersi se non invasi dall’altro faranno maggiore fatica a trovare la propria possibilità di sviluppare autonomamente la propria modalità di relazionarsi.
Parallelamente alla solitudine come opportunità, esiste una altra versione della solitudine che consiste nella frammentazione dei legami sociali. La frammentazione dei legami sociali è una conseguenza della perdita di fattori di aggregazione sociale, da quelli religiosi, a quelli culturali, a quelli politici. La cosiddetta società di massa così come si era delineata nel ventesimo secolo consentiva la possibilità di raggruppamenti di tipo collettivo in grado di coinvolgere milioni di persone all’interno di un orizzonte di senso comune. Il bene comune, l’uguaglianza, la ricerca della giustizia sociale rappresentavano ideali che mossi da una spinta propulsiva di natura etica permettevano di rispondere a una domanda di senso per ciascun soggetto.
sintesi di Alessandro Bruni
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