di Sandro Spinsanti. Sguardi alla prossimità e all'etica della salute. Pubblicato nel blog dell'autore il 14 novembre 2022.
Risparmiamoci l’ardua impresa di definire la dignità. Limitiamoci a evocare le associazioni mentali suscitate dai diversi contesti in cui si fa appello ad essa. L’attenzione si sposta quindi sul suo significato connotativo, piuttosto che su quello denotativo. Considerazioni analoghe si potrebbero fare sul versante del fine vita. La condanna morale del suicidio medicalmente assistito, in quanto offende la dignità della persona, è confinata solo in ciò che avviene nello scenario sanitario, ignorando i suicidi in carcere, a causa dell’invivibilità delle condizioni di detenzione. Adottando il punto di vista del pastore Barnhardt, quando il richiamo alla dignità isola una piccola parte e deliberatamente rifiuta la visione d’insieme, è associabile all’ipocrisia morale. Quanto meno il procedimento può essere indiziato come un espediente per andare a letto con buona coscienza e fare sonni tranquilli…
La promozione onesta della dignità richiede anzitutto la rinuncia a concepirla come un esercizio di potere su un’altra persona. In secondo luogo esige che i comportamenti siano collocati nel contesto ampio – e non di rado contraddittorio – in cui la vita reale ci viene incontro.
Dobbiamo riconoscere che il movimento della bioetica è ampiamente riuscito a introdurre l’attenzione a questi aspetti nell’ambito della cura. Ha definitivamente esautorato il paternalismo che autorizzava a definire il bene dell’altro, identificato come tale da qualcun altro, senza ascoltare la persona interessata. La buona cura non può prescindere dal coinvolgimento di chi la riceve: è il principio cardine dell’autodeterminazione. Ricevere la cura in modo passivo – a meno che questa non sia un’esplicita opzione della persona stessa – è contrario alla dignità di chi è curato.
sintesi di Alessandro Bruni,
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