di Thomas Casadei. Professore ordinario di Filosofia del diritto, Unimore. Pubblicato in Confronti del 22 novembre 2022.
La violenza maschile contro le donne ha come presupposto le discriminazioni basate sul genere, l’insieme di ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che continuano a permeare la società. La violenza maschile contro le donne riguarda tutte le fasce sociali, tutte le culture, e si annida nei contesti più diversi, proprio perché ha radici profondissime.
È importante saper nominare “violenza” ogni condotta che comporti una violazione della libertà di autodeterminazione, del consenso, delle possibilità di vita di una donna. Occorre anche ripensare i modelli, le forme di relazione e promuovere, al contempo, azioni di prevenzione (a partire dai contesti educativi e formativi, nonché associativi) e di contrasto a certi stereotipi.
In tale direzione, sono importanti i linguaggi, il discorso pubblico, quanto viene rappresentato dai media e non meno le forme di attenzione e vigilanza sociale. È decisivo comprendere quanto le parole possano “ferire” e quanto gli “assalti verbali” possano preparare e accompagnare gli atti di violenza fisica e, inoltre, quanto ciò valga per ogni tipo di linguaggio violento e aggressivo: sessista, razzista, omofobo.
Assumono così rilievo alcuni oggetti sui quali esercitare una prospettiva critica di genere: testi narrativi, film, trasmissioni televisive, blog e discorsi in rete. I mondi dello sport, della musica e dello spettacolo, dell’informazione e dei media possono parimenti giocare un ruolo chiave nel mettere al bando e nel delegittimare ogni forma di violenza che abbia come bersaglio le donne, e più in generale ogni essere umano.
sintesi di Alessandro Bruni
per leggere l'articolo completo aprire questo link