Tratto da VillageCare del 11 gennaio 2022. focus caregiver
Quando nasciamo ci affidiamo ai nostri genitori, coloro che si prendono cura di noi e che reputiamo come “invincibili”. E questa idea, anche quando cresciamo, difficilmente ci abbandona: anzi è un pensiero che ci conforta e ci accompagna. Per una figlia, in particolare, la madre rappresenta il primo oggetto d’amore, il suo tramite per entrare in relazione con il mondo esterno. Si tratta di un rapporto principe (Charleston 1999) da cui derivano tutti i successivi e grazie al quale si modellano le sue relazioni affettive, sociali e professionali.
Invecchiando, però, può succedere che il proprio genitore abbia improvvisamente bisogno di assistenza e che la figlia si ritrovi, da un giorno all’altro, a diventare caregiver della propria mamma. Di conseguenza, i ruoli si trasformano e si invertono con conseguenze a livello emotivo, difficili da gestire. La dott.ssa Manuela Nissotti, psicologa psicoterapeuta piemontese, ci aiuta ad analizzare questa situazione.
Cosa succede ad una figlia quando un genitore anziano diventa non autosufficiente?
“Imparare a prendersi cura di chi si prendeva cura di noi è la sfida che molte donne oggi devono affrontare, spesso da sole. Le figlie diventate adulte si trovano coinvolte imprescindibilmente in un compito difficile da gestire, in cui i ruoli si invertono” ci spiega la Dott.ssa Manuela Nissotti, psicologa psicoterapeuta “Inoltre se hanno costruito una famiglia, una donna può sentirsi improvvisamente schiacciata tra due difficili fronti: assistere un genitore anziano e accudire un figlio adolescente. E’ facile a questo punto avere un cedimento. I ruoli ci identificano, ci specificano, ci forniscono un’identità da cui partire, ma devono essere gestiti in modo consapevole e corretto”.
Quali sono le prime reazioni di una figlia di fronte a questa inversione di ruolo?
“Inizialmente una grande rabbia. È difficile infatti accettare la non onnipotenza del proprio genitore, capire che non ce la fa più da solo. Si tratta di un sentimento che può colpire anche l’anziano stesso che rifiuta la situazione e non vuole, nè accetta, aiuto da nessuno” spiega la dottoressa “Segue poi il senso di colpa perché la figlia caregiver non riesce ad elaborare questi sentimenti e ad accettarli. Nei casi più estremi può trasformarsi in un sentimento depressivo. Da sottolineare che lo scambio di ruoli può far emergere tutte le problematiche del rapporto con il proprio genitore”.
Quando si arriva a chiedere aiuto ad uno psicologo?
“Di solito non prima di aver raggiunto il proprio limite di sopportazione, che può manifestarsi con ansia o depressione, stati difficilmente collegati dalla persona stessa all’esperienza di caregiver. Una mia paziente, per esempio, con una mamma da assistere, si è rivolta a me dopo frequenti attacchi di panico che non riusciva a gestire e che, inizialmente, collegava ad un suo problema serio di salute” continua la dott.ssa Nissotti “Nonostante queste manifestazioni si palesassero soltanto in momenti collegati alla cura della madre anziana, la paziente se ne accorse realmente solo dopo un anno di terapia. Le motivazioni del suo disagio avevano radici profonde: durante la sua infanzia, infatti, questa donna si era sentita abbandonata e trascurata dal proprio genitore. Con la malattia della madre, quindi, si era manifestato un grande sentimento di rabbia al pensiero di doverla assistere, essendosi sentita lei stessa abbandonata nel momento del bisogno”.
Quando ci si accorge di non farcela più cosa bisogna fare?
“Il mio consiglio sarebbe quello di non superare mai il limite perché, ovviamente, il lavoro per sanare la ferita sarà doppio. In ogni caso sarebbe buona cosa chiedere aiuto alle persone più vicine, non appena ci si accorge di averne bisogno: al proprio partner, ad un familiare, ad un amico o al proprio medico. Ad una persona fidata. Le emozioni non vanno negate, bisogna guardarle in faccia: è importante rendersi conto dell’inversione dei ruoli con il proprio genitore e affrontare anche la paura della morte. Un percorso sicuramente non semplice e da affrontare con un aiuto specializzato”.
Ha un altro esempio sul rapporto madre-figlia adulta?
“Sì, certo. Gli studi psicoanalitici più recenti hanno mostrato una forte correlazione tra il legame con la madre e l’insorgere di problematiche psicopatologiche. Ecco il caso di un’altra mia paziente: cinquantenne, sposata, senza figli, colta e di bell’aspetto. Ha dimostrato da subito un rapporto iperprotettivo nei confronti della madre non autosufficiente e del marito con cui aveva stretto legami simbiotici e fusionali. Con quest’ultimo tendeva ad esprimersi in un ruolo accudente e materno fino a sentirsene sopraffatta. Con la madre invece metteva in scena un intricato “teatro” di vissuti e sentimenti la cui base erano sensi di colpa, ricongiungimenti, rabbia, sentimenti che sfociavano in angoscia. L’accudimento dei propri cari cominciava così a crearle forti impeti di rabbia nel non riuscire mai a fare “abbastanza”, secondo le aspettative sue e della madre. Insieme a questi sentimenti si aggiungeva anche la tristezza nel percepire una marcata inversione dei ruoli madre- figlia, fino all’angoscia per il futuro. Il percorso psicoterapeutico l’ha aiutata a prendere le distanze dal suo nuovo ruolo, a comprendere la differenza tra realtà e proiezioni, senza negare l’indispensabile aiuto alla madre anziana”.
Periodi festivi, come quello natalizio, possono peggiorare questa situazione?
“Sì perché le feste nell’immaginario collettivo vengono associate al concetto di famiglia quindi, se il rapporto con il genitore è compromesso, questi particolari periodi dell’anno possono tirare fuori il peggio di noi. Ci sono due possibili reazioni da tenere in conto: nel periodo delle vacanze tutto si ferma e si modifica ma, se ci si occupa di un anziano, si è in qualche modo costretti ad adeguare i propri ritmi e quelli della famiglia, con le sue esigenze. Questo maggiore tempo insieme porterà sicuramente un giovamento nell’anziano ma, dall’altra parte, la figlia può sentirsi infelice e costretta nel suo ruolo, non avendo pause nè spazi suoi personali. Un “lavoro” anche quando si è in ferie” conclude la dott.ssa Nissotti “Un altro possibile aspetto che può emergere è l’acuirsi della rabbia che, con la maggiore disponibilità di tempo libero, può trasformarsi in depressione. In questo periodo si sente l’obbligo di ‘sentirsi felici’. Un consiglio è quello di accettare questo momento, creandosi degli impegni extra già nel periodo antecedente alle feste e chiedendo aiuto nella gestione del proprio caro, così da tenere impegnate non solo le giornate, ma anche la testa. Se ci si accorge di aver raggiunto livelli di ansia non più accettabili, meglio rivolgersi ad uno psicologo per essere aiutati”.
segnalato da Alessandro Bruni
per approfondire l'argomento aprire questo link