di Massimo Recalcati. Filosofo e analista lacaniano della società. Pubblicato nel blog dell'autore e in La Stampa del 15 novembre 2022.
«Scompaio». Da quello che alcuni suoi allievi raccontano, sarebbe stata questa l'ultima parola di Jacques Lacan. Fine dei giochi, azzeramento, sparizione. Non a caso l'ultimo dei suoi celebri Seminari porta come titolo premonitore Dissoluzione. Annuncio non solo della fine della sua Scuola – che egli scioglierà, appunto, poco prima di morire –, ma anche della fine della sua presenza in questo mondo. Annuncio, appunto, della sua imminente scomparsa.
Scomparire è una forma radicale della separazione. Quando mancano le parole, quando c'è troppo dolore, quando tutto appare compromesso, quando tutto è divenuto impossibile da sopportare, quando si è alla fine delle nostre forze, quando è accaduto l'irrimediabile, quando muore qualcosa in cui abbiamo profondamente creduto, allora la separazione può assumere la forma netta e gelida della sparizione.
«Scompaio» significa interrompere per sempre i legami con il mondo così come l'ho conosciuto. L'ascia del tempo ha tagliato d'un solo colpo la corda che ci legava alla vita. Non resta che scomparire, farla finita, spegnere tutto. Nel caso della morte questa scomparsa non è – fatta eccezione per i soggetti suicidari, che decidono di darsi la morte – l'esito di una scelta, ma quello di una condanna, di un'imposizione subita.
Non sono mai "io" che decido di scomparire, ma è la legge della morte che lo esige. Non c'è più tempo per me, non c'è più tempo per la mia vita. La morte ci costringe a scomparire, a dissolverci, a ritornare, come direbbe ancora il Qoèlet biblico, alla polvere dalla quale proveniamo.
sintesi di Alessandro Bruni. Per leggere l'articolo completo aprire questo link