di Vanessa Roghi. Storica dell'educazione. Pubblicato in Il Post del 28 novembre 2022.
Occorre un metro per valutare l’apprendimento. Ma deve essere un metro chiaro e comprensibile sia da chi valuta che da chi è valutato. Per questo la valutazione descrittiva (quella dei giudizi per capirci) è stata sempre indicata come più efficace del voto numerico, perché spiega, consente di capire e di crescere imparando. Questa distinzione non è così evidente per tutti.
La valutazione, anche quando è comunicata attraverso un voto numerico, è educativa a patto che sia un mezzo, non un fine. Ma un mezzo per cosa? La valutazione serve all’apprendimento, a verificarlo, o a creare gerarchie tra chi sa e chi non sa? Ovviamente nessuno si sognerebbe mai di rispondere che la valutazione a scuola serve a punire, a umiliare, a ridurre le persone al numero che viene loro attribuito. Eppure molto spesso non è usata se non così. E non a caso il dibattito sul valore formativo del voto e quello sull’umiliazione avvengono a pochi giorni di distanza, sintomo di mali antichi della scuola che non passano.
Ogni riflessione, proposta, progetto sperimentale messo in campo nel corso degli ultimi decenni per migliorare i livelli di apprendimento dovrebbe essere guardato (valutato) con attenzione e non con paura come invece accade. Perché ogni volta che in Italia si discute di voti e dell’opportunità di sostituirli con una valutazione formativa, c’è qualcuno che grida allo scandalo, si indigna, come se fosse la prima volta, come se la fine della scuola, il colpo di grazia, financo la crisi dell’intera civiltà, dipendesse dal voler sostituire il voto con una valutazione formativa e descrittiva.
sintesi di Alessandro Bruni
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