di Massimo Recalcati. Filosofo e analista lacaniano della società. Pubblicato nel blog dell'autore e in La Stampa del 14 dicembre 2022.
Si può uccidere, stuprare, torturare, bastonare nel nome di Dio? E’ quello che sta accadendo sotto gli occhi semichiusi del mondo nelle strade dell’Iran. Il male esiste, non è un principio astratto. Ed esistono i malvagi che lo compiono colpevolmente. Con l’aggiunta sconcertante che il nome del Bene è spesso la maschera principale con il quale esso si camuffa. Impiccare, sparare contro i genitali, il petto, gli occhi può essere espressione della volontà di Dio? Le mani dei suoi più fedeli e sanguinari adepti prolungano le mani di Dio? Il Male può essere fatto nel nome del Bene? E’ lo stesso interrogativo che ci ponevamo di fronte al terrorismo di matrice islamica. Ma nel caso dell’Iran il terrorismo è di fatto una politica di Stato. E’ il delirio collettivo che ispira il regime teocratico degli ayatollah.
Eppure questo delirio lo abbiamo visto all’opera anche in Occidente nel corso del Novecento: invocare fanaticamente l’ideale di una Causa può giustificare i crimini più efferati. E’ la logica che ha ispirato storicamente il carattere strutturalmente religioso di ogni forma di patriarcato. Conosciamo bene anche il meccanismo: invocare la giustizia di Dio è un modo per giustificare ogni genere di violenza. Quando, infatti, si invoca il Bene supremo per compiere il male non c’è più limite al male che si può compiere poiché il male diventa lo scudo necessario in difesa del Bene.
sintesi di Alessandro Bruni
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